30 Dicembre 2024
Sport

Da Sinner e Yamal fino a Tebogo, i 10 atleti rivelazione del 2024

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(Adnkronos) –
Calcio, tennis, fino alle Olimpiadi di Parigi. Nel 2024 lo sport si è preso la scena, consacrando atleti diventati campioni e rivelando protagonisti inattesi. Nella speciale classifica delle 10 rivelazioni sportive dell’anno ci sono esclusioni eccellenti e nomi meno conosciuti, diventati però rilevanti non solo per i risultati ottenuti, ma per l’impatto stesso che hanno avuto sul proprio sport. Alcuni sono diventate bandiere del proprio Paese nel mondo, altri hanno aperto nuovi orizzonti e scatenato discussioni. Tutti, per un motivo o per l’altro, sono entrati nei libri di storia.  Il primo della lista non poteva che essere lui: Jannik Sinner. L’azzurro, a soli 23 anni, ha riscritto la storia del tennis in Italia, battendo ogni record e ascendendo inevitabilmente all’Olimpo dello sport azzurro. Il 2023 si era chiuso in dolceamaro: prima la sconfitta all’ultimo atto delle Finals di Torino, per mano di Novak Djokovic, poi il trionfo in Coppa Davis. L’onda emotiva con è finita la stagione è continuata nel 2024: a gennaio Sinner festeggia il suo primo titolo Slam vincendo l’Australian Open. Poi Jannik trionfa anche a Rotterdam, Miami e Halle. Nel mezzo viene sconfitto da Carlos Alcaraz in semifinale al Roland Garros ed eliminato ai quarti di Wimbledon.  Nonostante la delusione però Sinner può celebrare un traguardo storico, tanto per lui quanto per l’Italia: diventa numero 1 del ranking Atp, come nessun tennista azzurro era riuscito a fare prima. Sinner si riscatta sul cemento, vincendo prima a Cincinnati e poi allo US Open, che gli vale il secondo titolo Slam in pochi mesi. Il trionfo a Shanghai, ma anche al ricchissimo Six Kings Slam di Riad, è il preludio a un finale di stagione da incorniciare. Jannik domina le Finals di Torino, battendo in finale, proprio come a New York, Taylor Fritz e vola a Malaga, dove trascina l’Italia al secondo successo consecutivo in Coppa Davis. Una delle macchie dell’anno magico di Sinner è ovviamente rappresentata dal caso doping, scoppiato dopo la positività riscontrata al Closterbol. La sentenza definitiva del Tas, dopo una prima assoluzione e il conseguente ricorso della Wada, arriverà non prima del prossimo febbraio.  Ma l’anno da sogno del tennis azzurro ha riguardato anche il circuito Wta, con Jasmine Paolini che è stata assoluta protagonista del 2024. Paolini ha portato a casa titoli e qualche delusione. L'azzurra ha conquistato quattro trofei, uno in singolare e tre in doppio: a Dubai Paolini ha vinto il suo primo Masters 1000, mentre in coppia con Errani si è aggiudicata l'Upper Austria Ladies di Linz e altri due Masters 1000, gli Internazionali d’Italia e il China Open. L'apice però lo ha raggiunto, sempre nel doppio, alle Olimpiadi Parigi, quando ha vinto la medaglia d'oro. Dagli Slam invece sono arrivate le delusioni, nonostante il percorso di Paolini durante l'intera stagione sia andato ben oltre le aspettative. Jasmine ha raggiunto tre finali, due in singolare e una in doppio: al Roland Garros è stata battuta da Iga Swiatek nel singolare, e dalla coppia formata da Coco Gauff e Katerina Siniakova in doppio, mentre sull'erba di Wimbledon si è dovuta arrendere a Barbora Krejcikova. Paolini però è stata decisiva nel trionfo dell’Italia nella Billie Jean King Cup, riuscendo a chiudere l’anno con uno strepitoso quarto posto nel ranking.  Nell’anno che sta per concludersi c’è una stella che nel calcio ha brillato più lucente delle altre. Lamine Yamal, 17 anni compiuti lo scorso luglio, ha vinto il Golden Boy 2024, il premio destinato al miglior giovane dell’anno. Il riconoscimento suggella un anno da sogno per Yamal, che ha infranto record su record. Già nel 2023 Lamine aveva festeggiato la vittoria della Liga con il suo Barcellona, il club che lo ha cresciuto. Figlio di padre marocchino e madre guineana, la sua infanzia l’ha trascorsa tutta nelle strade di Matarò, città a pochi chilometri da Barcellona. Yamal non ha mai dimenticato da dove viene, tanto che, quando esulta, disegna con le mani il numero ‘304’, il codice postale di Rocafonda, il suo quartiere. L’ascesa di Yamal viene dalle strade della periferia catalana e attraversa i campi della cantera blaugrana, uno dei migliori vivai del mondo, in cui Lamine perfeziona la tecnica e valorizza l’estro. Nel 2023, come detto, Yamal è protagonista della Liga vinta con il Barcellona di Xavi, l’anno successivo invece è l’uomo copertina di qualcosa, se possibile, di ancora più grande. La Spagna vince gli Europei e lui, sempre titolare, chiude il torneo con un gol, quattro assist e molteplici record abbattuti. L’esordio con la Croazia lo fa diventare il più giovane di sempre a scendere in campo, a 16 anni e 338, in un Europeo; il gol capolavoro in semifinale alla Francia invece lo rende il più giovane a segnare un gol, a 16 anni e 362 giorni; e infine, il trionfo contro l’Inghilterra in finale, gli permette di diventare, a 17 anni e un giorno, il più giovane campione d’Europa di sempre. Non è un caso quindi che Yamal abbia già una valutazione di mercato da 200 milioni, e che il Barcellona abbia deciso di blindarlo con un rinnovo milionario e una clausola da un miliardo di euro.  Il motto del Botswana, Paese dell’Africa meridionale appena sopra il Sudafrica, è “United and Proud”, “Uniti e Orgogliosi”. Due milioni di abitanti e indipendente dal 1966, oggi l’orgoglio nazionale ha un nome e un cognome: Letsile Tebogo. A soli 21 anni, il velocista è entrato nella storia diventando il primo africano di sempre a vincere l’oro nei 200 metri, così come il primo atleta botswano a conquistare la medaglia più preziosa ai Giochi. E per capirne il valore basta pensare che il 9 agosto, il giorno seguente alla gara, il presidente del Botswana ha indetto festa nazionale. Alle Olimpiadi di Parigi, Tebogo è infatti stato il primo a tagliare il traguardo in 19”46, record africano, precedendo gli americani Kenneth Bendarek e soprattutto Noah Lyles, oro nei 100. Alla fine della gara Letsile ha mostrato le scarpe e la data incisa sopra: 23/12/1980, il compleanno della madre, scomparsa tre mesi prima per una malattia. “È stata lei a spingermi verso l’atletica, io avevo scelto il calcio”, ha raccontato commosso nel post gara, “So che mia mamma da lassù mi ha visto, ha gioito. La porto dentro in ogni passo che faccio. Questo trionfo è per lei e per tutta l’Africa: le persone cominciano a capire chi siamo”. La sua ascesa ha raggiunto il suo apice a Parigi, ma arriva da lontano. Da piccolo si allenava senza scarpe e con vecchi pantaloncini perché la famiglia non aveva i soldi per comprarne di nuovi: “La mia famiglia è numerosa. E mi avessero comprato le scarpe, sarei sembrato il figlio prediletto. Dovevamo essere tutti uguali”. Il 2023 ha segnato l’ingresso di Tebogo nell’elite della velocità con il secondo posto nei 100 e il terzo nei 200 raggiunto ai Mondiali di Atletica di Budapest. Il 2024 è stato l’anno della sua consacrazione, ma ora Letsile non ha alcuna intenzione di interrompere la sua corsa.  I Giochi di Parigi hanno incoronato anche una nuova regina della velocità. Julien Alfred nel 2024 si è presa il trono battendo l’astro nascente dell’atletica statunitense, Sha’Carri Richardson, con un crono di 10”72. All’oro nei 100 metri si è poi aggiunto anche l’argento nei 200. Due medaglie che l’hanno spinta sulla vetta dello sport mondiale, ma Alfred non ha mai dimenticato da dove viene.  Saint Lucia è una piccola isola dei Caraibi orientali, da poco più di 180mila abitanti. Julien, 23 anni, è diventata punto di riferimento e ispirazione per le nuove generazioni, per cui si impegna in prima persona a promuovere lo sport. Alfred è cresciuta, come molti atleti della sua generazione, con il mito del velocista più grande di tutti i tempi: Usain Bolt. “Ogni volta, prima di scendere in pista riguardavo le sue gare. Osservavo il suo modo di gestire la pressione, il suo modo di esultare. È stato un’ispirazione per me: volevo essere come lui”. E dire che le cose sarebbero potute andare in maniera molto diversa. Julien infatti è stata molto vicina a lasciare l’atletica. Ad appena 12 anni dovette affrontare la scomparsa del padre, una perdita che l’ha segnata tanto da farle mettere in discussione anche la sua passione per la corsa. “In quei momenti non avevo più motivazioni. È stato il mio vecchio allenatore a riportarmi in pista, aiutandomi ad affrontare il dolore della morte di mio padre. Lui voleva che arrivassi alle Olimpiadi, ha sempre creduto in me. Oggi sarebbe fiero di me”.  Nel 2024 Parigi, per Alice D’Amato, si è trasformata nel suo personale Paese delle meraviglie. Tra le 40 medaglie conquistate dall’Italia, che ha eguagliato il record di Tokyo2020, una delle più sorprendenti è arrivata alla trave. La doppietta azzurra è stata firmata da Manila Esposito, bronzo, e soprattutto da Alice D’Amato, ginnasta di 21 anni, che ha vinto l’oro davanti a sua maestà Simone Biles. D’Amato è stata anche protagonista con le Fate, che hanno vinto l’argento proprio dietro gli Stati Uniti di Biles: “Abbiamo dato l’adolescenza per essere qui”, è stato il loro urlo di gioia. E di sacrifici, crescendo, Alice ne ha fatti tanti, sempre insieme alla sorella gemella Asia, che a Parigi non ha potuto esserci a causa di un infortunio. Le due sono state protagoniste anche a Tokyo, dove D’Amato arrivò quarta nella gara a squadre, una delusione che non ha mai digerito. “Ci rifaremo a Parigi”, aveva promesso. Ai Giochi del 2024 Alice è andata oltre le aspettative, e il suo oro lo ha dedicato al padre, scomparso nel 2022: “Il mio pensiero più grande va al mio papà che sicuramente credo che da lassù abbia fatto tantissimo per me e continuerà a farlo”.  Il nome di Imane Khelif è stato tra i più cercati su Google, in Italia, nel 2024. Ma della pugile algerina non si è parlato soltanto per i risultati raggiunti sul ring alle Olimpiadi di Parigi. Khelif è stata infatti al centro delle polemiche per dei presunti livelli di testosterone non in regola e addirittura cromosomi XY (maschili). La sua partecipazione aveva generato polemiche specialmente dopo essere stata esclusa dai Mondiali 2023 per il mancato superamento di un imprecisato gender test, come sostiene l'International Boxing Association, ente non riconosciuto dal Cio. La sua vicenda ha avuto un eco particolare In Italia dopo l’incontro con l'azzurra Angela Carini, ritiratasi dopo pochi secondi dal via del match.  “Sono una donna come tutte le altre”, disse Imane dopo aver vinto l’oro nella categoria 66 kg, “Ho fatto tante dichiarazioni: posso competere o no, sono una donna o no… Ho partecipato a pieno titolo a questa competizione, sono una donna come tutte le altre. Sono nata donna, ho vissuto da donna, ho gareggiato da donna: non ci sono dubbi. Chi dice il contrario osteggia il mio successo, sono nemici del successo. E questi attacchi danno un sapore speciale alla mia vittoria, la mia dignità e il mio onore sono salvi”. In finale Imane ha battuto la cinese Yang Liu con un verdetto unanime e, al suo rientro in Algeria, ha sfilato su un autobus scoperto a due piani, con migliaia di persone che si sono riversate in strada per celebrare il suo trionfo.  L’1 luglio 2024 è stato un giorno storico per il ciclismo. La vittoria di Biniam Girmay nella terza tappa del Tour de France è stata anche la prima per un africano nero nella Grande Boucle. Girmay, alla fine, riuscirà a raccogliere ben tre tappe e a conquistare la maglia verde, quella dedicata ai velocisti, successi che si aggiungono alla vittoria in una frazione del Giro d’Italia e a quella nella Gand-Wevelgem. “Vincere qui è incredibile, dedico questa vittoria a mio padre, a mia madre, a tutta la mia famiglia che mi ha sempre supportato. Da dove arrivo non è facile emergere e diventare un corridore professionista”, ha detto a caldo il 24enne della Intermarché-Wanty. In Eritrea, in effetti, non si vedono molte biciclette, e così Biniam inizia a giocare a calcio. A 12 anni però il padre, con qualche sacrificio, gli regala una mountain bike e lui sogna di seguire le orme di un altro corridore eritreo, Daniel Teklehaimanot, il primo africano a vestire, nel 2015, la maglia a pois del Tour de France. “Let me open the door”, scrisse sui social Girmay dopo una vittoria al Tour, “Fatemi aprire la porta”. E queste parole trascendono la gara e abbracciano la politica applicata allo sport. Nel 2023 i corridori neri erano sei su 534, nel 2024, al Tour de France, c’era solo Biniam. La sua presenza è diventata una bandiera e un orgoglio per un continente intero, che il prossimo anno si prepara a ospitare i Mondiali di ciclismo. Il Ruanda mostrerà un ciclismo sempre più globalizzato, dove iniziano a emergere talenti da ogni continente, e in cui è Girmay, per una volta, a tirare la volata al resto del mondo.  Nel 2024 c’è anche chi, si può dire senza il rischio di cadere nell’esagerazione, ha superato i limiti umani. Ruth Chepnegetich ha firmato, lo scorso 13 ottobre, il nuovo record del mondo femminile di maratona. L’atleta keniota ha percorso 42,195 chilometri in 2 ore 09’56”, abbassando così di quasi due minuti, 1’57” ad essere precisi, primato stabilito nel 2023 dall’etiope Tigst Assefa. Il Kenya si è così confermato patria della maratona nel mondo, bissando il record maschile siglato da Kelvin Kiptum, scomparso lo scorso febbraio in un incidente stradale. Ed è proprio a lui che Chepnegetich ha voluto dedicare questo traguardo: “Questo record mondiale lo dedico a Kiptum perché forse avrebbe potuto difendere il suo titolo e raggiungere un altro record mondiale”. Prima della grande gioia però, Ruth aveva assaporato anche l’amarezza della delusione. Il Kenya aveva infatti deciso di escluderla dalle convocate per le Olimpiadi di Parigi a causa dei limiti imposti dal Cio. Ogni Paese può infatti convocare un massimo di tre atleti per partecipare alle gare di maratona in base ai risultati maturati nel corso dell’anno, e fino a quel momento la stagione di Chepnegetich era stata al di sotto delle aspettative. Eppure Ruth in carriera si era già tolta grandi soddisfazioni, come la vittoria ai Mondiali di Doha del 2019. Il trionfo a Chicago, di gran lunga la sua corsa preferita visto che l’ha vinta già nel 2021 e 2022, ha avuto, insomma, il sapore della rivincita, con il 2024 che è destinato a rimanere un anno storico per la maratona.  Nella stagione Nba che ha incoronato i Boston Celtics, c’è un giocatore che ha stupito più degli altri. Victor Wembanyama è stato eletto a furor di popolo ‘rookie dell’anno’ dopo aver concluso un’annata da record, la sua prima nella massima serie di basket statunitense. Il francese, 20 anni e di ruolo centro, è attualmente il più alto cestista in attività (2,21 m) e di lui il compagno di squadra Sandro Mamukelashvili dice: “Per lui il limite non è il cielo. È un alieno”. Prima scelta del Draft 2023, ‘Wemby’ ha collezionato numeri eccezionali nella sua prima stagione in Nba, che alla fine è stata, statistiche alla mano, persino migliore di quella d’esordio di James, nel 2003. LeBron riuscì a fare meglio soltanto negli assist (6 contro 4) e nelle palle rubate (1,6 contro 1,2), per il resto Victor lo ha ‘battuto’ in tutto, dai punti fino alle stoppate e ai rimbalzi, peraltro giocando 10 minuti in meno del fuoriclasse dei Lakers. Il confronto con uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi serve per comprendere l’impatto che Wembanyama ha avuto sull’Nba. Il francese ha giocato 71 partite su 82, in risposta a chi aveva dubbi sulla sua tenuta fisica: in media ha collezionato 21,4 punti, 10,6 rimbalzi, 3,9 assist, 3,6 stoppate (primo in questa statistica) e 1,2 palle rubate, a cui si aggiungono medie altissime al tiro (46,5% complessivo dal campo, 32,5 dall’arco e quasi 80 dalla lunetta). Soltanto Kareem Abdul-Jabbar era riuscito a collezionare numeri migliori in ogni categoria, nel lontano 1975-76. In una partita contro i Washington Wizards poi, Wembanyama è entrato ancor di più nella storia degli Spurs diventando il primo giocatore di sempre a realizzare 50 punti con 8 triple in una singola partita. “Il mio primo pensiero è che, alla fine, voglio che le mie future prestazioni oscurino questa partita. Voglio fare in modo che, con il tempo, questa diventi una partita come le altre”, ha detto Victor poco dopo la fine del match. Parole di chi, secondo molti, è destinato a dominare i parquet americani per i prossimi vent’anni. (di Simone Cesarei) —[email protected] (Web Info)


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