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Mariolino, il Comandante che «Cura» l’orizzonte sorridendo

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Link del Blog del giornalista Ciro Cenatiempo

 

«Pitta pittore, pittava le mura, pittore non era, indovina chi era». Avete mai sentito questo indovinello? Questa sorta di filastrocca risale almeno alla fine dell’Ottocento. Me la ripeteva nonna Teresa, bionda, occhi azzurrissimi, più vispa, minuta e tosta di tante Terese favolose. Okay, vi svelo l’arcano: la risposta è la lumaca (intesa come chiocciola). Non chiedetemi perché. Dai, è facile. E nasconde una splendida metafora. Fate uno sforzino. Non c’è bisogno alcuno, invece, di spremersi per decodificare una decennale battuta – ormai mitizzata – di Mariolino Capuano, geniale esemplare d’artista made in Forio d’Ischia: «A Ischia ci sono così tanti pittori che è impossibile trovare un imbianchino!». Il referto è semplice: trattasi di sagacia universale. Purissimo gigioneggiamento. Lumache e imbianchini sono identici pittanti, come esseri (viventi). Il comandante e pure putecaro, salmastro e folgorante pannazzaro, omnibus dell’invenzione filosofica trasudata in tele, carte, pennelli e colori; riuscito esperimento di sé stesso come homo ludicus perché per piangere non ci vuol nulla, mentre per sorridere pensando, a pensarci bene, ci può volere una vita, Mariolino è l’erede di una società per affari di cuore e gloria che fu fondata per istinto dai turbamenti collettivi del Secondo Dopoguerra in un posto al sole. A Forio. Dove per un bel po’ di miracoli, mischiando labbra e occhi, parole e visioni, si ebbe una mutagenesi rapidissima per colpa della fantasia globale: a Forio, votata all’Occidente, all’Occasum solis, dove la koinè pazza della Cultura fece del tramonto all’orizzonte un’occasione, un attimo eterno di fuggente rinascita. Maledetti poeti, scrittori, pittori, musicisti, scultori, intellettuali, filosofi, archeologi, galleristi, critici e saltimbanchi. Se non ci fossero (stati) loro l’isola verde sarebbe più verde e felice, un paradiso trogloditico di eremiti, rigidi come pezzi di legno. E invece no. Anche per colpa di Mariolino, che si mise a cernere suggestioni straniere straripanti e a coltivare umide vitali vocazioni torrioniche, siamo costretti a questa jouissance che si tuffa nell’amarcord sorvolando; e che il volo incombente dell’incoscienza pedestre non scalfisce, quando si riemerge dal memoire. Il godimento che ci inietta l’arte di Mariolino, è irresistibile. Ha dato fuoco alla legna che generò Pinocchio e ce lo ha schiaffato, emanando un calore avvolgente e forte, sotto il muso per lasciarci – ancora – a bocca aperta. Ripeto da tempo che non c’è nulla di più reale dell’Arte nello sfrantumamento noioso dell’oggi. Ieri come oggi. Mariolino ce lo ha appiccicato sull’immaginario: ha usato un nastro adesivo, scotch di carta da 15 millimetri, che non si stacca più. Possiamo solo appicciarlo. Di nuovo. Il gioco è una sfida: i suoi pezzi sono ospitati in una mostra nel consueto, afoso (da sindrome vagale), villino Gingerò a Villa Arbusto, che sta lì come un monumentino istituzionale. Per dirla tutta, meno male che c’è. Ma è giro-vagando qui che esplode il sudore felice del contrainte oppositivo, della regola dell’antiregola di Mariolino che sbriciola la convenzione. O meglio, l’accetta senza convinzione, e si gode l’omaggio necessario di chi gli vuole bene. Ci sono anch’io, tra questi. Gli basta? Non m’importa. A lui neppure. Il sorriso di Mariolino è una bella lezione, un essudato concettuale – si dice così – che ci fa arrampicare sul trompe-l’œil per sfotterci e inchiodarci ai limiti terricoli della (nostra) pre-sunzione. Direi suzione. Al confronto di Mariolino siamo dei lattanti. Navigatore, esploratore di confini che l’umanità si è autoimposta per non cadere giù dalla Terra Piatta, Mariolino Capuano è un curatore del limite, un «pugile micidiale» – la citazione è mutuata da un mio vecchio gruppo dì amici versificatori – che ci rincuora beffardo, prendendoci a pugni con dolcezza, allungando il jab sinistro senza mai affondare del tutto il colpo. Senza scaraventarci fuori dal ring. Che bisogno avrebbe di mandarci al tappeto e oltre il confine della nostra arringa quotidiana? Non ha mai avuto bisogno di forzare. A noi, intanto, si allunga il naso. La comunità di Mariolino è sparita, e noi facciamo finta che ci sia tuttora. Va bene, va bene. Viva l’indulgenza. Ah ecco, non è un selfie. Ma una vignetta. Firmata Mariolino. La mostra «Mariolino» resterà aperta al pubblico fino al 31 agosto ed è promossa dall’assessorato alla Cultura del Comune di Lacco Ameno. Curata da Massimo Ielasi con Bruno Macrì, Salvatore Basile e Circolo Georges Sadoul Ischia, offre un percorso di oltre trenta dipinti acrilici su tela.


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