Trump. “Vita di un presidente contro tutti”, intervista a Gennaro Sangiuliano
Per la mia rubrica “IL Personaggio” sono lieta di ospitare Gennaro Sangiuliano, giornalista, saggista e già ministro della cultura.
Nel 2017 Sangiuliano pubblicò per Mondadori una biografia di Donald Trump, “Vita di un presidente contro tutti”, in questi giorni esce una edizione aggiornata, con nuovi capitoli che prendono in esame il periodo che va dal 2021 ad oggi, con sottotitolo “La rivincita”.
Trump ha stravinto, spiazzando i radical, sul piano economico e sull’immigrazione. Perché?
«Trump ha vinto con 312 grandi elettori, un risultato migliore di quello di Biden che ne ottenne 306, meglio di George W. Bush. Inoltre, solo ad un altro presidente, nella storia degli Stati Uniti, Grover Cleveland, è riuscito di farsi eleggere per un nuovo mandato dopo aver fallito la rielezione. Fu, infatti, il ventiduesimo e il ventiquattresimo presidente. Ha vinto perché era stato un buon presidente, con risultati economici eccellenti, a lui si può imputare solo una cattiva gestione dell’emergenza Covid.
Durante la sua presidenza ci fu alta crescita, bassa disoccupazione e aumento dei redditi medi. Si deve a lui una importante riforma fiscale (la corporate tax è passata dal 35 al 21 per cento) che stimolò investimenti e innovazione.
A partire dalla fine del 2020, in coincidenza della vittoria democratica, sono entrati negli stati Uniti oltre 7,2 milioni di immigrati illegali. Una cifra spaventosa che i critici dell’amministrazione Biden, non solo Trump ma anche tanti commentatori indipendenti, mettono in relazione con le scelte politiche dell’amministrazione democratica. Le città americane sono state invase da una massa di persone che non è possibile integrare, con conseguenze devastanti per la qualità della vita collettiva. A New York è stato il sindaco Eric Adams, democraticissimo, a lanciare un duro monito: “Questo problema distruggerà New York City”, ha detto».
Trump ha utilizzato una comunicazione più popolare e meno artefatta rispetto alla Harris. Secondo lei, questo modello più descrittivo che evocativo, quanto è importante per gestire, poi, i rapporti diplomatici?
«La rielezione di Trump dimostra, ancora una volta, il solco che divide la narrazione fatta da alcune élite autoreferenziali, quelle che vivono negli attici e nei loft delle ztl americane, e la gente comune, quella che lavora e che soffre se la rata del mutuo lievita e se c’è un’alta inflazione. C’è un argomento del primo discorso di Trump che merita di essere colto, insieme ad altri, il richiamo all’essere un movimento (Make America Great Again), non un partito in senso tradizionale, con le sue sovrastrutture, ma un movimento, una comunità coesa attorno a ideali e obiettivi, attiva nel perseguirli. Trump sarà un miliardario ma ha lavorato a stretto gomito con gli operai dei cantieri edili, sa essere in sintonia con la gente comune. In politica internazionale Trump ha sempre provato a costruire buoni rapporti personali, un po’ come fece Berlusconi».
La descrizione di uomo poco colto, miliardario senza cultura, razzista, da parte dei suoi avversari, si è rivelata un boomerang…
«Nella biografia ricordo che Trump fu a lungo democratico, come lo era la sua famiglia. Allora, era vezzeggiato dai Clinton che si recarono al suo matrimonio con Melania. Biden ha definito gli elettori di Trump “spazzatura” e questo è stato un clamoroso errore. Molti sostenitori repubblicani in quei giorni hanno postato foto indossando un sacco dei rifiuti. Un modo per stigmatizzare la battuta infelice di Biden. Illary Clinton lì definì miserabili. L’allora presidente socialista francese, François Hollande, chiamo i poveri (che votano Le Pen) sdentati, una chiara offesa a chi non può permettersi cure odontoiatriche. La sinistra, ovunque, tende a dividere la società in due: ci sono loro, colti, ben educati, portatori di una missione educatrice e virtuosa, inclusivi, aperti etc, poi ci sono gli altri, razzisti, rozzi, ignoranti etc. È evidente che questa narrazione è falsa, frutto di quello che ho definito il feudalesimo progressista».
Una domanda che si pongono un po’ tutti. Come cambierà la politica estera degli USA?
«Nel suo primo discorso Trump ha ricordato che i democratici cominciano le guerre, mentre lui intende chiuderle. I democratici hanno, storicamente, una politica estera ideologica, farcita della velleità di esportare la democrazia. Un principio, in teoria giusto, ma che si è risolto in autentiche tragedie, che non tiene conto del valore della storia e dei suoi tempi. Trump è un pragmatico. Per Trump il vero antagonista, in termini geopolitici ed economici e la Cina, sempre più aggressiva. Su questo fronte concentrerà i suoi sforzi».
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