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Intervista: “Liberaldemocrazia, internet e fake news”, il parere degli esperti Antonio Scala e Gian Marco Pondrano d’Altavilla

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Napoli, 1 dic. – Analisi della rete per stabilire come comunicare correttamente su Internet. Questo il senso profondo dell’incontro organizzato il 30 novembre presso l’Istituto italiano per gli stufi filosofici di via Monte di Dio, a Napoli.

I relatori Gian Marco Pondrano Altavilla, storico e teorico politico, e Antonio Scala, ricercatore del CNR,  col contributo dell’avvocato Rosa Criscuolo, hanno indicato praticamente, come ripensare i fondamenti della liberaldemocrazia nell’era di Internet.

Per molti anni tutto ciò che si postava in rete era accessibile a chiunque; si poteva andare su Facebook, scaricare i dati, comprendendo di cosa parlassero le persone e come interagissero tra loro. Ancora oggi mentre ci esprimiamo sui social media, tutto viene raccolto per orientare marketing e pubblicità. Per questo, partendo dal modello statunitense di ricerca, gli studiosi si preoccupano di individuare le correlazioni di interessi e discussioni tra persone. Una tale pratica scientifico-sociologica, ha portato alla scoperta  degli echochambers, che influenzano decisioni ed accordi anche politici. Analizzare un approccio liberaldemocratico al mondo di Internet, serve dunque a concentrarsi su argomenti polarizzanti e sugli effetti che essi determinano nelle scelte individuali e collettive. Tra esse si è fatto largo nel tempo il concetto abusato di ‘fake news’ e delle “camere d’eco” da esse create. Col supporto degli esperti Antonio Scala e Gian Marco Pondrano Altavilla abbiamo provato a fare il punto esatto della situazione comunicativa attuale.

– Dott. Scala, in qualità di capo team di ricerca empirica sulle fake news, ci giustifichi questa convinzione: “Alla gente piace il falso”. Concorda con questa lettura sociologica?

Iniziamo a mettere le mani avanti: non sono il “capo” del team: un lavoro squisitamente interdisciplinare come il nostro non sarebbe potuto esserci senza una collaborazione corale in cui ognuno guida le fasi della ricerca a seconda delle proprie competenze e capacità specifiche.

Riguardo alla convinzione “Alla gente piace il falso”, premettendo che non sono un sociologo, esprimerò le convinzioni che ho maturato lavorando sui dati e sulla loro osservazione. Non penso affatto che alle persone piaccia il falso; penso piuttosto che piacciano determinate storie. Non a caso la mitologia ha degli schemi ricorrenti in popolazioni diverse: l’essere umano finisce per essere sempre catturato dalle stesse narrazioni. Che il contenuto della narrazione sia più o meno coerente con dei fatti, questa è altra cosa; da sempre una bugia ben confezionata funziona bene. Quello che invece rappresenta sicuramente un problema sono le modalità di interazione con le narrazioni sui social: trattandosi di interazioni veloci (pochi secondi per determinare se una cosa piaccia o meno), non si ha il tempo per razionalizzare e riflettere e diventa quindi più facile la propagazione di notizie infondate. Insomma, alla “gente” sui social piace quello che li faccia star bene, che confermi le loro convinzioni e magari che li faccia sentire parte di una stessa tribù.

Fake news e dibattito globale. Provi a definirne la correlazione in un’ottica liberale.

Trovo estremamente fuorviante il termine “fake news”. Abbiamo appena finito di lavorare al rapporto AGCOM sulla disinformazione online (https://lnkd.in/dBs5uYC ) proprio per mettere un po’ di chiarezza sull’argomento. Il termine “fake news” è un termine estremamente illiberale, creato e concepito per definire quello che dicono le persone con opinioni diverse dalle nostre. Si associa ad un uso antiscientifico del concetto di falso: pensare di poter decidere se una notizia è falsa o vera, magari basandosi su un algoritmo, significa ignorare risultati importanti di logica e computer science che dimostrano come un tale programma sia inconsistente ed irrangiungibile. Io penso che in un’ottica liberale siano interessanti anche le posizioni che noi riteniamo non fattuali: è importante capire come l’altra persona ci sia potuta arrivare ed interrogarsi sulla forza della propria posizione. Insomma, sforzarsi sempre di trovare nuove strategie di comunicazione, ma anche essere pronti a riconsiderare le proprie convinzioni. Come dice Nardone in un suo bellissimo intervento al festival del giornalismo ( “La nobile arte della persuasione” https://www.youtube.com/watch?v=B4ptjd91DSw), il vero persuasore cambia non solo l’altro ma anche se stesso nel processo di convincere.

– Online ed Offline, quale futuro per gli effetti da ‘bufale’?

Le “bufale” sono un oggetto antico, tipico dell’uomo: mi viene in mente il cavallo di Troia ma sono sicuro che si potrebbe andare ancora più indietro nel tempo. Il problema non sono le ‘bufale’, ma le conseguenze dovute alla viralità che esse possono assumere nel mondo online: ad esempio pochi anni fa lo stato del Texas ha mandato la guardia nazionale a controllare che l’esercito americato – impegnato in realtà in una esercitazione militare – non invadesse il Texas per levare loro il diritto di usare le armi. Da questo punto di vista, io sono ottimista: spero che si tratti degli effetti collaterali e temporanei dell’introduzione di una nuova tecnologia. Il problema è il “credere troppo” ed il “credere troppo in fretta” a quello che si trova online; appena ci saremo resi conto di ciò, il problema verrà automaticamente mitigato. Bisogna sperare quindi che le nuove generazioni siano più smaliziate; di conseguenza, investire di più in cultura ed in una educazione che sviluppi il senso critico. Allo stesso tempo, bisognerà ridisegnare il processo informativo, coinvolgendo maggiormente gli utenti nel processo di costruzione dell’informazione.

– Dott. Pondrano la smentita è spesso uno strumento conseguenziale alla notizia mendace. Come siamo tutelati giuridicamente in tal senso?

Il nostro ordinamento conosce una molteplicità di strumenti per la tutela di quella che una volta si usava definire l’«onorabilità» di una persona. Strumenti penali ed amministrativi che in teoria dovrebbero sconsigliare dall’utilizzo di dichiarazioni false o fuorvianti sul conto altrui. Il pensiero ovviamente corre alla diffamazione (e per certi versi all’ingiuria) ed alla loro repressione. C’è però da riconsiderare anche questi istituti alla luce di un approccio empririco-controllato, e dei valori che vogliamo sottendere a determinate scelte di impostazione giuridica. Cosa vogliamo tutelare? Una determinata idea di verità? E se sì, quale? L’onore e la reputazione di una persona? E se sì, dove tracciare il confine con il valore del libero confronto di opinioni? Ammesso poi che sia trovata una risposta univoca o un equiibrio deontologico che appaia adeguato, quali sono gli strumenti giruidici – alla prova dei fatti – più efficaci ed efficienti per servire il valore prescelto o l’equilibrio individuato? Per scendere dall’empireo della teoria, Le faccio un esempio concreto: la rettifica, che è un mezzo immaginato per un sistema di informazione completamente e radicalmente diverso dall’attuale (e forse nemmeno allora scelto su basi empiriche), può reggere alla prova del nuovo millennio, dell”interconnessione globale, della diffusione istantanea, del “condividi”, delle camere d’eco etc.? Ancora: la repressione penale (soprattutto a scarto spesso ritardato) serve effettivamente a tutelare le istanze di correttezza del trattamento informativo di ognuno di noi?

La risposta che mi sento di dare, alla luce anche del lavoro condotto con il dott. Scala è «dipende dai fatti». La sola risposta che sappiamo sbagliata – tendenzialmente per certo – è quella pregiudiziale, quella non «messa alla prova».

– Liberaldemocrazia, una parola con un importante spessore umano e morale. Quali fondamenti sono stati spiegati il 30 novembre?

La liberaldemocrazia (quello che generalmente si intende per liberaldemocrazia) non è un monolite: nè in come si è manifestata nella storia, nelle forme che ha assunto; nè nelle costruzioni teoriche e giustificative che di volta in volta l’hanno descritta e validata. A

grandi linee possiamo dire che una società liberaldemocratica è una società dove le decisioni pubbliche vengono assunte con metodo democratico (quindi a maggioranza assoluta, relativa o rafforzata) e dove, però, la sfera del pubblico, di ciò di cui giuridicamente il potere pubblico può disporre, non abbraccia il complesso della vita dei cittadini, cui vengono riservati ampi spazi di scelta individuale (le cosiddette «libertà fondamentali»). Ora perchè questo tipo di società sia da preferire rispetto ad altre ed i dettagli, l’intelaitura logica che la descrive e la sorregge, sono argomenti tipici della «teoria politica» e di quella liberale in particolare. Noi siamo partiti da una specifica concezione della liberaldemocrazia, quella del confronto, che per secoli è stata uno dei pilastri, delle «giustificazioni» più accreditate del sistema liberaldemocratico e la abbiamo messo alla prova, con gli strumenti empirici che ci venivano dall’analisi quantitativa. La teoria del confronto dice che è bene che gli individui facciano le proprie scelte solo dopo essere passati attraveero il dubbio ed il confronto di più «soluzioni»? Questa è una proposizione di valore, un assunto etico e quindi non confrontabile con la realtà dei fatti, quindi va assunto per scelta – in un certo qual modo per fede – individuale. La teoria del confronto dice che avendo più opzioni, confrontandosi con pareri diversi dal proprio, l’indidividuo dubita della propria posizione e quindi può fare una scelta più consapevole? Beh, questa è invece è una proposizione di fatto e possiamo passarla per le forche caudine del confronto con i dati.

Quello che abbiamo presentato il 30 novembre, al di là dei risultati pur rilevanti delle ricerche sull’informazione online e le relative conseguenze su di un modello politico, è insomma un metodo nuovo (o almeno nuovo per quelle che sono le nostre conoscenze), che consenta ad ognuno, fatti salvi i propri valori di base, di distinguere nelle proprie convinzioni cosa è frutto di una impegno etico e cosa invece è un assunto di fatto e decidere della verita o meno di siffatte posizioni solo dopo aver compiuto una analisi attenta dei dati o essersi confrontato con le posizioni scientifiche sul punto. E che consenta ai teorici politici di guardare con occhio nuovo (e magari ripepensare) alcuni totem del pensiero politico di tutti i tempi.

 


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Pina Stendardo

Giornalista freelance presso diverse testate, insegue la cultura come meta a cui ambire, la scrittura come strumento di conoscenza e introspezione. Si occupa di volontariato. Estroversa e sognatrice, crede negli ideali che danno forma al sociale.