‘A che servono questi quattrini’, al Sannazaro Francesco Procopio spiega il senso della felicità
Napoli, 14 gen. – Il teatro non ha tempo, non conosce il “sempre” e il “mai”, per questo la vita come la scrittura che la racconta, si rigenera sulle tavole del palcoscenico che le conferiscono attualità ed eternità.
Francesco Procopio cavalcando l’onda interpretativa di una maschera che ha fatto la sua fortuna a teatro dando voce all’uomo del popolo, al Sannazaro di Napoli ripropone riadattandola, la commedia ‘A che servono questi quattrini’, datata 1942 in versione cinematografica.
In scena tutto avviene a sipario aperto, perfino il cambio d’abito degli attori, pronti a mostrarsi nella loro professione di “teatranti” che all’occasione diventano scenografi, addetti al palco e pubblico di quanto viene recitato.
Protagonista assoluto della piéce in cui c’è molto da ridere, il valore del pensiero che crea e distrugge come la politica, attraverso la forza dell’illusione.
Così la ricchezza viene costruita a regola d’arte attraverso la retorica della parola. Il prof. Parascandolo (Pietro de Silva), guida Vincenzino (Francesco Procopio), nel capovolgimento morale e fattivo della sua ottica quotidiana. Scomodando Diogene, Socrate e Platone, lascia interrogare protagonisti e platea su una domanda attualissima: “I soldi regalano la felicità?”.
L’atteggiamento della ricchezza e della convinzione di vivere nell’agio, tradotto in apparenza apre nuove porte ed opportunità. L’artificio del pensiero che dona alla gente ciò che vuole vedere, risulta così convincente da trasformare Vincenzino da ex dipendente comunale in responsabile aziendale di un pastificio di cui è azionista, da fratello devoto in marito della donna più bella e ricca del paese, da incolto cittadino ligio alle regole ad accorto politico.
Un argomento di difficile discussione, pieno di ambivalenze e riserve invita lo spettatore ad interrogarsi su problemi di soldi e preoccupazioni destate da essi. Collega il tutto al valore non commercializzabile delle idee, pronte a valicare l’immaterialità sconfinando in campi quali l’autostima e una nuova identità.
Il denaro a teatro diventa catalizzatore della coscienza: “trattenere” la ricchezza col pensiero veicola affetti, carriera. Si conferma così la teorizzazione postuma di Richard Easterlin che definì il denaro “paradosso di felicità”.
Interessante, forte, evocativa alla maniera Freudiana la riproposizione del regista Miale di Mauro che sul finale vede un Francesco Procopio intenso. Rivolto alla platea nelle battute finali dello spettacolo, Vincenzino sentenzia: “Nella vita dobbiamo accorgerci di altri doni, il sole, il mare; tutti abbiamo a disposizione in maniera non quantificabile solo il tempo e se lo viviamo con ansia rischiamo di accelerare l’arrivo all’unica e comune destinazione della morte, per cui ‘A che servono questi quattrini?'”.
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