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Vincenzo Gemito, al Museo di Capodimonte sculture e disegni dell’artista irrequieto

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Napoli, 3 ott. – Di lui si disse che fu uno dei pochi testimoni della vera anima di Napoli. Scugnizzo dal destino precario, nell’argilla plasmó il senso della sua quotidiana disperazione. Vincenzo Gemito, scultore, disegnatore e pittore di fine Ottocento in mostra a Napoli nel Museo di Capodimonte.

Fino 15 novembre, 150  opere divise in nove sezioni tematiche, raccontano la genesi e l’evoluzione dell’artista segnato da eventi nefasti che ne determinarono lo squilibrio psichico.

Orfano poi adottato e cresciuto tra i vicoli di Napoli, seppe catturare nella sua arte, tutta l’irrequietezza della gente semplice e povera, abbandonata al divenire degli eventi.

Genito, così chiamato quando da trovatello bisognò assegnargli un cognome, diventó per un errore di trascrizione Gemito. Questo cognome fu davvero profetico per il prolifico artista che dovette sussultare per tutta una vita davanti agli scherzi della sorte.

Il guitto d’ingegno, così come la forza della sopravvivenza, sono ben ravvisabili nelle produzioni dei primi anni in cui Vincenzo diede opera ai suoi primi modellati: bambini vestiti di stracci, popolane e giocatori.

L’attenzione cade sulle teste giovanili in terracotta come quelle dello “Scugnizzo”, del “Fiociniere” e del “Moretto”, sintesi del naturalismo della sua arte.

La mostra si concentra contemporaneamente sulle vicissitudini di vita dell’artista. Le immagini immortalate in busti e disegni dei due grandi amori della sua vita, la francese Mathilde Duffaud e la napoletana Anna Cutolo, purtroppo deceduta, testimoniano la capacità di Gemito di entrare ossessivamente nell’anima dei soggetti ritratti.

Quanta semplicità e insieme perizia di tratteggio, si possono riscontrare in Gemito disegnatore. Il carboncino o gli acquerelli ritraggono fanciulli in posa che sembrano stagliarsi vivi allo sguardo dell’osservatore.

Forte ed espressivo è l’autoritratto dell’artista che in barba, occhi e capelli, condensa tutta la pungente smania del suo essere, condizionato in certi periodi dalla inoperosità artistica, a causa di episodi che lo avvicinarono alla follia.

Ma Gemito è anche perito esecutore  di ritratti in bronzo di personaggi famosi e personaggi mitologici. Celebre quello del pittore spagnolo Mariano Fortuny e del suo contemporaneo Domenico Morelli.

Ci si incanta davanti alla  Testa di filosofo” e al più tardo “Busto di fanciulla napoletana”, di ispirazione sicuramente classica, caricati di virtuosismo plastico.

Sensuale, schietta, dinamica, la produzione artistica di Gemito restituisce lustro ad una personalità cui la critica del tempo dedicò scarsa attenzione.

Oggi gli restituiscono dignità i napoletani e i curatori Jean-Loup Champion, Maria Tamajo Contarini e Carmine Romano.

Tutta la vita di Gemito si può racchiudere in una immagine: il famoso dito in gesso della colossale statua di Carlo V, commisionatagli da re Umberto I per la facciata di una nicchia di Palazzo Reale.

Quando la statua che segna lo spartiacque tra la produzione naturalistica di scugnizzi e popolani, e quella di personaggi storici, fu collocata in sito, Gemito rilevò un errore nella posizione dell’indice allungato della mano destra e lo fece correggere, guadagnandosi l’appellativo di “scultore pazzo”.

Così indicizzato, cavalcando i moti ondosi della sua esistenza, Gemito cercò di individuare nell’arte la sopravvivenza ai suoi dolori, sublimati in opere che hanno robustezza e anima da vendere.

 

 


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Pina Stendardo

Giornalista freelance presso diverse testate, insegue la cultura come meta a cui ambire, la scrittura come strumento di conoscenza e introspezione. Si occupa di volontariato. Estroversa e sognatrice, crede negli ideali che danno forma al sociale.