Salute: Brambilla (Deloitte): «La pandemia ha cambiato i modelli operativi R&S e commerciali dell’impresa biopharma»
Corsa verso la digitalizzazione, gestione delle attività di R&S durante la pandemia, adozione di nuove tecnologie e impatti sulle divisioni commerciali: sono queste le principali sfide causate dalla pandemia per le aziende biopharma secondo i leader a capo delle funzioni R&Se commerciali intervistati da Deloitte. «La pandemia da Covid-19 ha colpito tutti gli aspetti della vita, in tutto il mondo. Mentre l’industria biofarmaceutica è al centro della scena pubblica per lo sviluppo di vaccini e terapie per il virus Sars CoV-2, ci sono alcune aree significative che le aziende biopharma hanno dovuto adattare alle circostanze del mondo che sta cambiando. Per capire quali, Deloitte ha intervistato i leader aziendali di alcune delle più importanti aziende del settore», spiega Valeria Brambilla, Life Sciences & Health Care Industry Leader di Deloitte Italia, nel suo intervento sul blog di Deloitte in cui illustra i risultati dello studio condotto da Deloitte Global.
La vendita di farmaci durante la pandemia
«Per la maggior parte degli intervistati, le aziende sono finanziariamente sane e le vendite dei prodotti commercializzati sono rimaste per lo più stabili. Inoltre, per motivi evidenti, molti degli intervistati vedono nel protrarsi dell’emergenza pandemica un’opportunità da cogliere per il settore del biopharma: le aziende con liquidità in eccesso potrebbero cercare di rafforzare il proprio portafogli con attività esterne, per controbilanciare i ritardi subiti dalle loro pipeline. Inoltre, molti soggetti privati stanno investendo nel biopharma, ma per comprendere appieno l’impatto che il Covid-19 ha avuto sul settore ci vorranno anni.
Sebbene gli intervistati abbiano affermato che è stato difficile vendere nuovi farmaci nel 2020, essi ritengono che la quota di mercato complessiva relativa ai prodotti lanciati prima della pandemia sia stabile. Tuttavia, un’eccezione si è riscontrata riguardo le vendite di alcuni farmaci che richiedono una visita in ospedale o in clinica per la somministrazione, inclusi alcuni per trattamenti oncologici o malattie rare. I pazienti avevano troppa paura di contrarre il Covid-19 in ambito clinico oppure non sentivano che la loro condizione era così grave da cercare un trattamento per esporli al rischio.
Per la maggior parte dei leader di marketing le aziende hanno rivisto o ridimensionato le loro strategie di lancio a causa della pandemia e la risposta del mercato ai farmaci lanciati come previsto quest’anno è stata fiacca, anche per la minor efficacia dell’attività delle figure commerciali nel mondo virtuale. Il Covid-19, infatti, ha chiuso i canali di persona, imponendo un cambiamento radicale nel modo in cui lavorano tali profili nel campo biofarmaceutico», scrive Brambilla.
Lo sviluppo di farmaci durante la pandemia
«La maggior parte degli studi ha subito ritardi, specialmente quelli nelle fasi iniziali. Secondo i dati di EvaluatePharma, molti studi sono stati sospesi a livello globale tra marzo e novembre 2020. I siti di sperimentazione, infatti, sono stati costretti a chiudere a causa dell’epidemia, oppure non è stato possibile reclutare pazienti. Così, circa il 60% delle sperimentazioni sospese è stato riavviato, ma diversi intervistati hanno sottolineato che potrebbero essere necessarie ulteriori chiusure a causa della recrudescenza della pandemia», sottolinea la Leader dell’Industry Manufacturing.
«Ad oggi la maggior parte degli studi clinici si sta sperimentando con modalità “ibride”, con importanti novità organizzative, come l’implementazione dei moduli di consenso elettronico, assistenza infermieristica a domicilio, monitoraggio da remoto e ampliamento di fornitori in outsourcing per cercare funzionalità diverse e più adatte al loro specifico processo e ambiente. Dalle interviste emerge che, prima della pandemia Covid-19, i modelli ibridi rappresentassero il 10-15% di tutti i grandi studi biofarmaceutici. Da allora, quel numero è aumentato al 40-50% e potrebbe attestarsi su tali livelli anche qualora la pandemia dovesse attenuarsi».
Quali prospettive per il futuro?
«C’è ancora molta incertezza sulla durata della pandemia e sul conseguente danno economico che causerà, ma tale situazione critica ha evidentemente accelerato molte tendenze. In primis la trasformazione digitale: in ambito R&S, il Covid-19 ha evidenziato le fragilità del tradizionale sistema di sperimentazione clinica basata sul “sito”. Con il supporto degli organismi di regolamentazione, gli intervistati vedono nel lungo termine un passaggio a studi decentralizzati e incentrati sul paziente. A breve termine, invece, prevedono l’adozione su piccola scala di tecnologie rilevanti, probabilmente tramite supporto di CRO o altri fornitori, e modifiche ai protocolli per soddisfare le esigenze immediate fino a quando non verranno sviluppate le capacità interne da parte delle aziende stesse.
Importanti anche le trasformazioni in ambito commerciale: i produttori stanno ripensando le loro strategie di go-to-market, inclusi i talenti, i modelli di customer engagement e gli strumenti digitali a supporto. Allo stesso tempo, stanno cercando di capire come differenziare e modernizzare le loro operazioni attraverso la trasformazione digitale per migliorare l’interoperabilità, controllare i costi, espandere i flussi di entrate esistenti e migliorare l’esperienza del cliente. I medici potrebbero richiedere piattaforme di comunicazione completamente diverse in futuro, che tengono conto dei loro programmi e delle loro esigenze e dai contenuti accattivanti e clinicamente rilevanti. In questo senso, le aziende potrebbero dover ripensare a come espandere e sfruttare meglio le competenze e le capacità dei team che hanno contatto diretto con i medici.
L’adozione accelerata di tecnologie digitali nella R&S biofarmaceutica potrebbe facilitare la democratizzazione delle sperimentazioni cliniche, rendendo più facile la partecipazione di persone in tutte le aree geografiche, di tutte le etnie e background socioeconomici. Un reclutamento più rapido e più rappresentativo potrebbe accelerare i tempi di sviluppo dei farmaci e l’ingresso nel mercato. Le funzioni commerciali possono utilizzare la tecnologia per interagire al meglio con medici e pazienti. I medici potrebbero essere più disposti a provare nuovi prodotti se commercializzati in modo più appropriato; per i pazienti, un loro migliore coinvolgimento potrebbe generare più fiducia nel settore farmaceutico. Gli effetti a catena derivanti dall’aumento dell’efficienza in tutta l’organizzazione e dall’adozione di un approccio incentrato sul cliente possono essere una risposta vincente per tutti i soggetti coinvolti», conclude Brambilla.
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