22 Dicembre 2024
Magazine

Al MUSEO FRaC l’inaugurazione della mostra “MARIO CAROTENUTO. COLLAGES 1964 – 1966”. Un evento straordinario, nato da un attento lavoro di ricostruzione storico critico, su un momento della sua pittura che pochi conoscono: i collages MEMO

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MARIO CAROTENUTO

Collages 1964-1966

Galleria dei Frati, 17.12.2022 > 22.01.2023

  Inaugurazione Sabato  17 dicembre  ore 19.00

Sabato 17 dicembre  alle ore 19:00  il sindaco di Baronissi, Gianfranco Valiante, inaugura la mostra MARIO CAROTENUTO Collages 1964-1966  promossa nell’ambito delle manifestazioni per il centenario della nascita  del Maestro e nel ventennale dell’istituzione del Fondo Regionale d’Arte Contemporanea, divenuto poi Museo-FRaC Baronissi, di interesse regionale.

L’esposizione, curata Massimo Bignardi, è stata promossa dal Comune di Baronissi, dal Museo-FRaC e dall’Associazione Culturale “Mario Carotenuto”, con partners i Musei Aiello Moliterno e la Galleria Il Catalogo di Salerno. La mostra propone un cospicuo numero di opere, tra collages su tavola, strutture oggettuali praticabili e disegni/collages realizzati dall’artista all’indomani della visita alla Biennale di Venezia del 1964 e l’incontro con le esperienze neodadaiste di Rauschenberg e di Johns. 

“La mostra che il Museo-FRaC ha realizzato – dichiara il sindaco Valiante –, dopo un attento lavoro di ricostruzione storico critico, è dedicata, ricordavo in apertura, ad un momento della sua pittura che in pochi conoscono: i collages. È una significativa ma breve stagione che ha segnato l’apertura di un dialogo con quanto accadeva nella sfera dell’arte in quegli anni, negli Stati Uniti, in Francia e in Italia: un periodo di brevissima durata – tra l’estate del 1964 al 1966 – ma che ha segnato profondamente sia l’attività espositiva del Maestro, con mostre personali e collettive in Italia e all’estero, sia il dibattito all’interno della cultura artistica salernitana. È una pagina di storia che doveva essere ricostruita nella sua pienezza, registrando anche le piccole cadute, la poca lungimiranza della cultura cittadina ma che, trasversalmente, ancora oggi ha la forza di richiamare una riflessione sulla città di quegli anni, sulla sua organizzazione culturale, sulle presenze, le gallerie d’arte che aprivano i loro battenti e il ruolo dei poli culturali in mancanza di strutture pubbliche destinate all’arte contemporanea. La mostra è il segno di quanto l’impegno di questa Amministrazione, che ho l’onore di rappresentare, con coerenza porta avanti, arricchendo di anno in anno l’offerta culturale”.

“Nella compagine delle esperienze artistiche napoletane degli anni Sessanta – scrive Bignardi nel saggio al catalogo pubblicato per i tipi di Gutenberg Edizioni –, ad un oggetto arcano e denso di mistero, guardavano con interesse sia le esperienze di Renato Barisani con la serie delle granceole, richiamandosi, quindi, ad un mondo ctonio, sia quelle condotte tra il 1960 e il 1963 da Lucio Del Pezzo e, tra il 1964 e il 1966, da Mario Carotenuto, che tessono un dialogo, con accenti diversi, con l’oggetto arcano, impregnato di mistero, fatto risalire dal profondo bacino degli archetipi. È quanto testimoniano le opere di Del Pezzo, quali Il mio paese, del 1962, e l’Ebdomero, del 1963, entrambe connotate da una composizione densa di rilievi, di ex-voti, oggetti di una fede popolare. Per Carotenuto sarà il confronto con la dimensione intimistica, nel quale l’esercizio del greffage diviene operazione di uno scavo, inteso come atto di ribellione, di decisa rottura con l’immagine di un Sud racchiuso nella scenografia della fede. «In questi quadri – affermava l’artista nella mia prima intervista, rilasciatami il 15 gennaio del 1975, nel suo studio alla ‘Torretta’ – c’è sempre il confronto tra gli oggetti deperibili e il cielo che è eterno, sono espressioni, quindi, dell’idea di deperibilità nel tempo. […] C’è lo sfacelo di tutti i fatti del Sud, della nostra zona, dei nostri paesi, della nostra tradizione, della nostra cultura, in contrasto con quel cielo che è bellissimo, limpido, trionfante così come lo vediamo nelle cartoline». A Venezia s’imbatte nei nuovi linguaggi che dilagano sulla scena internazionale dell’arte: dai neodadaisti e popartisti che animano il padiglione U.S.A. (alla sua prima apertura), la cui presenza aveva acceso il dibattito e le polemiche dell’estate ai pittori italiani, penso a Del Pezzo, a Barisani, ad Enrico Bugli, a Rosaria Matarese, ma anche agli esponenti della Scuola di piazza del Popolo. L’impatto con le opere di Oldenburg e di Dine è certamente meno entusiasmante di quello che, il Nostro, avrà con quelle di Rauschenberg e Johns. L’interesse, in particolare per il primo, non è tanto rivolto alla composizione, al suo disordine di materie attinto alla tradizione dadaista, quanto al valore di nuova oggettività data alla materia che trasgrediva l’esaltazione soggettiva ed individualistica, ma anche alla strisciante contestazione di una realtà sociale, delle contraddizioni che essa registra, nonché l’uso di un nuovo paradigma iconografico che, ora, chiama in scena brani attinti, contestualmente, da un’imagerie familiare, unitamente a quella propria della storia dell’arte, dei giornali, dei rotocalchi: insomma l’attrazione, potremmo affermare, verso nuove nozioni visive. Mario aveva ben compreso il tentativo, da parte dei neodadaisti, di dare una nuova ‘prospettiva’ o, meglio ancora, un’oggettività oggettuale che, avrebbe detto Crispolti, è quella dell’oggetto fisicamente presente davanti a noi. Carotenuto non condivide,come attestano i suoi primi collages, il sotteso tendere, soprattutto dei popartisti statunitensi presenti a Venezia, tra questi i più giovani, John Chamberlain, Claes Oldenburg, Jim Dine e Frank Stella, verso un nuovo realismo posto sotto l’insegna della società dei consumi e dei mass media”.

Mario Carotenuto (Tramonti 1922 – Salerno 2017). Frequenta il Liceo “G. B. Vico” di Nocera Inferiore, poi studia Lettere all’Università di Napoli e segue i corsi di Pittura, tenuti dai maestri Vincenzo Ciardo ed Emilio Notte presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Si trasferisce definitivamente a Salerno nella primavera del 1946: nel 1945 aveva vinto, con il dipinto Maestro, il primo premio alla Mostra Giovanile Premio Forti, organizzata a Napoli dall’Associazione Liberi Artisti Napoletani che in quegli anni faceva capo a Paolo Ricci e promossa dall’Ente per lo sviluppo artistico del Mezzogiorno. La sua pittura di quegli anni, è tutta proiettata alla ricerca di valori cromatici, nella quale sono ben evidenti «l’unità di visione – scrive Manlio Giarrizzo nel 1946 – e la toccante sensibilità della materia pittorica». L’attenzione di Carotenuto si rivolge allo studio dal vero, come analisi conoscitiva della realtà, dell’oggetto, letto nella sua struttura formale, cioè nel suo «proporre e vivere – rileva Massimo Bignardi – lo spazio: la pittura come conoscenza della realtà e, quindi, presa di coscienza, avvertenza interiore, sondaggio emozionale. La capacità dell’artista sarà, soprattutto nelle opere realizzate sul finire del decennio Quaranta, come la Crocifissione del 1949, di aver saputo innestare, sulla solidità della pittura napoletana, su quello spazio drammatico nel quale rivive l’esperienza umana, una pennellata fluida che respira la lezione impressionista, con un colore che fa leva sul valore cromatico, attinto ai movimenti europei del primo decennio del XX secolo, declinando quindi la tensione che è propria della pittura moderna». Nella sua formazione culturale e artistica sono fondamentali i viaggi a Parigi, nel 1959, a Madrid e Monaco, nonché il sodalizio con poeti e critici d’arte come Domenico Rea, che presenterà la prima personale dell’artista a Roma, nel 1956, Alfonso Gatto conosciuto a Salerno nel 1959, Filiberto Menna, Aldo Falivena, Giuseppe Sciortino ed artisti quali Attardi, Mirabella e Mazzullo. I suoi studi, quello di via Bastioni, di via Matteo Ripa della Torretta e poi di via San Benedetto, unitamente a quello di Minori ove dal 1965 si trasferisce in estate, sono stati luoghi di incontro e conversazioni con Raphael Alberti, Edoardo Sanguineti, Marcello Venturoli, Duilio Morosini, Alberico Sala, Paolo Ricci e Vasco Pratolini. Molte sono le opere realizzate per spazi pubblici, fra queste i pannelli decorativi per il Poliambulatorio comunale di Salerno (1967), per l’Ospedale Civile di Pagani (1967), l’affresco per la Sala delle Conferenze dell’Ordine dei Medici (1968), il grande pannello per la sede nazionale dei Monopoli di Stato a Roma, la Via Crucis per la chiesa del Redentore a Salerno, i pannelli ceramici per l’Arciconfraternita del SS. Sacramento di Minori, il Presepe dipinto per la Sala San Lazzaro del Duomo di Salerno.

Orario di apertura: lunedì-giovedì ore 9:00/13:00 – lunedì e giovedì anche ore 16:00/18:30 – venerdì e sabato: ore 10:00 /13:00; 17:00/20:00 – domenica e festivi: ore 10:00/13:00; 17:00/21:00 – martedì chiuso


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