Attesa per Bove a Sanremo, il cardiologo inventore del device che l’ha salvato: “Tornare in campo si può”
(Adnkronos) – Era il primo dicembre 2024 quando Edoardo Bove, 22enne centrocampista della Fiorentina, tra gli ospiti più attesi stasera alla finale del Festival di Sanremo, si è accasciato in campo allo stadio Franchi di Firenze al 17esimo minuto del primo tempo della partita che stava giocando contro l'Inter. Il suo cuore si è fermato per un'aritmia potenzialmente fatale, trattata all'ospedale Careggi del capoluogo toscano con l'impianto di un defibrillatore sottocutaneo che gli ha salvato la vita, ma che ora rischia di comprometterne la carriera per via delle regole in vigore in Italia. Un appello a cambiarle arriva dal cardiologo al quale tanti giovani come Bove devono la vita: Riccardo Cappato, direttore del Centro di Aritmologia clinica ed Elettrofisiologia dell'Irccs MultiMedica di Sesto San Giovanni nell'hinterland di Milano, detentore del brevetto del defibrillatore sottocute. L'esperto assicura che "con questi dispositivi è possibile continuare a praticare sport ai massimi livelli" e chiede la revisione di un veto in molti casi ingiustificato. "Oggi atleti dal cuore sano, ma con un potenziale aritmogeno per cui viene impiantato un defibrillatore, non possono proseguire la loro carriera sportiva in Italia. Sarebbe utile riconsiderare l'effettiva utilità di questo divieto, coinvolgendo in un dibattito allargato vertici della medicina sportiva, istituzioni, leghe sportive, procuratori", dichiara il cardiologo all'Adnkronos Salute. "Quando il cuore si ferma per un'aritmia – precisa – occorre innanzitutto verificarne la causa. Se l'aritmia è dovuta a una patologia che pregiudica l'integrità funzionale dell'organismo, come un'ipertrofia cardiaca, il soggetto non può più continuare a praticare sport. Ma se il cuore è sano, e viene rilevato un potenziale aritmogeno che può essere prevenuto grazie all'impianto di un dispositivo in grado di attivarsi per resettare eventuali future aritmie, perché impedire all'atleta di proseguire nella sua carriera?", domanda Cappato. Grande poco più di una scatola di fiammiferi, il device inventato dallo specialista viene impiantato sotto la cute nella zona laterale sinistra del torace. E' formato da un elettrocatetere che rileva l'aritmia e da un microchip con un generatore in grado di attivare una scarica elettrica di 1.780 volt. "Il dispositivo è letteralmente in grado di 'resuscitare' un soggetto in arresto cardiaco ed è stato sviluppato per funzionare perfettamente – garantisce Cappato – anche quando l'aritmia dovesse avvenire durante un esercizio fisico ad altissimo livello d'intensità" come quello che comporta giocare a calcio per mestiere. "In Italia – ricorda l'esperto – si contano ogni anno tra le 50 e le 70mila morti improvvise per arresto cardiaco, di cui solo una percentuale irrisoria avviene in ambito sportivo". Questo accade "grazie alla nostra medicina dello sport che è un'eccellenza a livello mondiale", rimarca Cappato. "Sul territorio viene svolta un'attività di screening accuratissima", e "non c'è dubbio che la capacità di salvare vite giovani e apparentemente sane in Italia sia molto superiore rispetto a quella di qualsiasi altro Paese. All'estero gli atleti possono morire a causa di anomalie che difficilmente sfuggono ai radar delle visite cui si sottopongono obbligatoriamente gli atleti italiani per praticare attività sportiva agonistica". Ma se "è fondamentale continuare con questa preziosa rete di screening, fermando ragazzi con patologie per le quali lo sport potrebbe essere loro fatale, quando non è presente una specifica condizione patologica, anche dopo un arresto cardiaco come quello che ha colpito Bove tornare a praticare attività sportiva è possibile – ribadisce il cardiologo – La storia dell'ex interista Eriksen e di tanti altri sportivi all'estero ce lo dimostra: grazie all'impianto di un defibrillatore sottocute si possono scongiurare le conseguenze di un futuro evento avverso". "Credo allora possa essere utile – conclude Cappato – riaprire il confronto su questo tema, con coinvolgimento di tutti gli stakeholder del settore, dai vertici della medicina sportiva alle istituzioni, dalle leghe ai procuratori, per soluzioni che sposino la tutela della salute con il principio di autodeterminazione delle singole persone". —[email protected] (Web Info)
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