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Carcere e salute il convegno all’Università LUMSA

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Garante detenuti: dall’inizio dell’anno: 4283 atti di autolesionismo, 32 suicidi e 668 tentativi. Necessaria implementazione risorse per medicina penitenziaria

Direttore Regina Coeli: per molti detenuti il reato è l’ultimo dei problemi. A volte per privacy non riusciamo a sapere di quali disturbi soffrono

 

Si è tenuto presso all’Università LUMSA il convegno Carcere e salute mentale – L’intervento con adulti e minori autori di reato,  primo contributo scientifico del Centro di ricerca sui Sistemi sociali e penali “Diritto Alla Speranza” – DAS, recentemente costituito presso questo Ateneo e diretto dal prof. Filippo Giordano (ordinario di Economia aziendale), nato dall’esigenza di un ampio confronto sul tema del diritto alla salute e sui profili di maggior criticità rilevati nella sua realizzazione all’interno degli Istituti Penitenziari.
L’ appuntamento scientifico, coordinato dalla prof.ssa Letizia Caso (associato di Psicologia sociale e giuridica, Università LUMSA), è stata un’occasione di incontro tra discipline diverse, nella necessità, sempre più evidente, di ragionare sulle istanze di fragilità che attraversano la popolazione dei detenuti, tenendo presente le peculiarità e gli strumenti che contraddistinguono gli Istituti penali per adulti e per minori.

Tra i numerosi contributi, riportiamo di seguito uno stralcio degli interventi di Felice Maurizio D’Ettore (presidente del collegio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale) e Claudia Clementi (direttore Casa Circondariale Regina Coeli di Roma).

Felice Maurizio D’Ettore, presidente del collegio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale

“I detenuti presenti nei nostri istituti in questo momento sono 61356, la capienza regolare è di 51157 posti e i posti regolarmente disponibili sono 47247. L’indice di affollamento è 129,86. In alcuni istituti quest’ultimo dato è molto più altro, purtroppo.

Gli atti di autolesionismo dall’inizio dell’anno sono 4283, +177 rispetto allo scorso anno. I suicidi sono 32, i tentati suicidi 668.

Le aggressioni fisiche al personale di Polizia Penitenziaria sono 666 dall’inizio dell’anno, quelle al personale amministrativo 27. Stiamo andando verso le mille aggressioni. Questi sono tutti dati che dimostrano quanto c’è da fare, ma allo stesso momento quanto si sta facendo con le risorse attuali. In questo momento c’è una situazione di difficoltà all’interno degli istituti, combattuta e attenuata dalle persone che vi operano e che però ha bisogno di un’implementazione di risorse molto importante. Per avere la medicina penitenziaria ci vogliono le risorse. Ora il Dap sta tentando, attraverso il ministero della Sanità, di supplire ad alcune carenze che ci possono essere sui territori regionali

Io vado a parlare con presidenti di regione per cominciare a trovare delle soluzioni. In Campania, Veneto, Calabria, ora vedremo se anche nel Lazio e altre, stiamo proponendo una serie di protocolli. Non vogliamo sostituirci al Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ndr), ma qualche stimolo ogni tanto può essere utile. Ci sono dei protocolli che addirittura il procuratore della Repubblica di Napoli Gratteri aveva proposto con le ASL locali nel tentativo di affrontare il disagio psichico, non solo la malattia, anche il disagio.

Stiamo aspettando che il parere del Dap su questi protocolli, ma nel frattempo alle regioni li proponiamo, perché penso che sia opportuno arrivare ad una soluzione. Così come, stiamo proponendo al ministero della Sanità di dare delle prestazioni che si aggiungono a quelle delle regioni che si sono rese disponibili.

La malattia diventa una problematica più ampia con la situazione di detenzione e il diritto alla salute, sancito dall’articolo 32 della Costituzione, vale per tutti, quale che sia la condizione del soggetto. Un tema che non è compreso facilmente”.

Claudia Clementi, direttore Casa Circondariale ‘Regina Coeli’ di Roma

“Oramai c’è una situazione di disagio e di patologia mentale molto diffusa. L’area del disturbo è così elevata, ovviamente per chi è detenuto si associa a tutta una serie di altre difficoltà, che oramai il carcere non può essere più la risposta unica a queste situazioni. E’ vero che i detenuti sono soggetti, in custodia cautelare o che hanno commesso dei reati e quindi debbono giustamente scontare una pena, però in alcuni casi la problematica relativa al disturbo mentale, pur non determinando un’incapacità d’intendere e di volere, prevale sulla commissione del reato. E allora l’unica cosa che si può fare è dare una risposta integrata che preveda una collaborazione tra le vari professionalità: quella degli operatori penitenziari e quella degli operatori sanitari.

A volte noi non conosciamo i dati sanitari dei detenuti, perché a causa della normativa sulla Privacy, non sappiamo quali sono le persone all’interno dei nostri istituti che hanno dei disturbi diagnosticati e chi sono le persone che assumono terapie prescritte dagli psichiatri. Non sappiamo quali sono e quanti sono i detenuti che risultano tossicodipendenti. E quando parliamo di dipendenze oggi, non parliamo di quelle tradizionali, ma di polidipendenze, da sostanze che non sono ancora classificate. Oggi c’è l’allarme Fentanyl e siamo tutti preoccupati per questa cosa. Ma non è solo questo, ci sono tante altre situazioni dove il disturbo si assomma a disturbo e il disagio si assomma a disagio. Io dico sempre una frase: per molte delle persone che sono in carcere, la commissione del reato è l’ultimo dei problemi.

A Regina Coeli c’è una forte attenzione sulla sanità in carcere. Ci sono molti professionisti sanitari, certo sempre meno rispetto a prima perché la carenza di risorse esiste per tutte le amministrazioni a vari livelli, ma ci sono strumentazioni diagnostiche e c’è la vicinanza a strutture esterne d’eccellenza del territorio romano. Quindi è un’esperienza che, seppur a volte connotata da una difficoltà di dialogo perché capita di ‘parlare lingue diverse’, avendo obiettivi comuni e grazie alla buona volontà di tutti consente di superare le complicazioni. Ma ci sono situazioni che non possono essere trattate in un ambiente come quello del carcere. Hanno bisogno di altre strutture”


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