C’è un’alternativa al Regionalismo differenziato?
di Luigi Ruscello
Il regionalismo differenziato è balzato agli onori della cronaca nel 2017, quando la Commissione parlamentare per le questioni regionali, approvò lo svolgimento di una Indagine conoscitiva sull’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, con particolare riferimento alle iniziative delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.
L’indagine intendeva approfondire, in primo luogo, gli aspetti procedurali relativi all’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, relativo alla cd. «autonomia differenziata». E, in secondo luogo, approfondire i contenuti ed i possibili sviluppi delle iniziative intraprese in proposito dalle tre Regioni. La norma costituzionale, infatti, non aveva trovato attuazione a livello di legge ordinaria, se non ad opera di una disposizione della legge di stabilità 2014, la quale prevede che il Governo si attivi nel termine di 60 giorni sulle iniziative delle Regioni presentate al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali e di un richiamo contenuto nella legge delega sul federalismo fiscale.
L’indagine consistette nelle audizioni di rappresentanti del Governo, di rappresentanti degli enti territoriali, di studiosi ed esperti della materia, di rappresentanti della magistratura e di funzionari del Governo e degli enti territoriali con competenza sulla materia.
Riguardo all’attualità, cioè alla contrarietà del Partito Democratico alla realizzazione del regionalismo differenziato, è molto interessante riportare quando dichiarato dal Presidente della regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, nell’audizione tenuta nella seduta del 6 dicembre 2017:
«Certo, considerando il grado di velocità con cui stiamo lavorando e quello di determinazione che vediamo anche da parte del Governo nei nostri confronti, come credo potrebbe dire, se fosse qui, Roberto Maroni, e da parte delle Regioni che hanno deciso di attivare questo percorso congiuntamente, penso che il futuro Parlamento, indipendentemente dalla sua composizione politica, farebbe fatica a cancellare un’intesa avvenuta pochi mesi prima tra una Regione e il Governo stesso, anche perché, se così fosse, porterei io stesso i pullman con i cittadini. Altro che referendum, vorrei vedere come si fa a impedire che venga approvata una richiesta che ha seguito pedissequamente l’iter così come previsto dalla Costituzione.» [1]
Dopo ben diciassette anni, dunque, con il ddl Calderoli dovrebbe concludersi almeno l’iter di un disegno di legge sulla procedura da seguire. Non viene quasi mai evidenziato, però, che il primo testo di ddl attuativo fu quello approvato nel Consiglio dei Ministri n. 83 del 2007 e, guarda caso, da un governo di centro-sinistra, cioè con primo ministro addirittura Romano Prodi. Ed è altresì da rimarcare che in quel ddl non vi era traccia alcuna dei famigerati LEP. Tanto, giusto per chiarire che le attuali discussioni sono prevalentemente strumentali e non costruttive.
Sono passati sei anni, invece, da quando furono firmate le pre-intese con le citate regioni. E, anche in questo caso, da un governo di centro-sinistra, per cui non si può negare che si tratti di un regalo ricevuto su un vassoio d’argento dalla Lega per merito del centro-sinistra e del Partito Democratico in particolare.
Al di là delle inaudite responsabilità di Gentiloni (Villone dixit) e dei rischi di diverso genere che vengono paventati da più parti, non è detto che poi si giunga effettivamente alla approvazione delle leggi definitive per l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni di autonomia. E ciò per diversi motivi.
Al di là del quasi insormontabile ostacolo delle risorse necessarie, ci sarà tutto il tempo per far decidere la Corte Costituzionale sulla liceità di tali leggi, ancorché rinforzate.
Se il diniego dell’Emilia-Romagna persisterà, saranno almeno due le leggi rinforzate da approvare e, almeno nel caso della Lombardia, l’intesa sottoscritta col governo dovrà essere preventivamente approvata dall’Assemblea regionale. Dette leggi, oltre ad essere le prime del genere, non sono sicuramente auto applicative. Saranno necessari quindi numerosissimi decreti attuativi, al di là dell’utilizzo dei DPCM. Di conseguenza, ci vorrà molto tempo. Basti pensare che la capacità di smaltimento di detti decreti, da parte del MEF, nel corso del 2022 è risultato del 57%. E il personale? Chi, come e quando gestirà i trasferimenti di competenze? O si tratterà, come è più che lecito pensare, di una mera redistribuzione di fondi ancora una volta a favore del Nord e a scapito delle altre regioni?
Per l’intervento della Corte, dunque, come pretesto basterà una qualsivoglia difformità dai principi dell’art. 119 Cost. E, pertanto, tutto dipenderà dalla composizione della Corte, perché è inutile sproloquiare sulla sua imparzialità. E che non sia il pensiero di un complottista basta considerare i pareri discordanti già emersi nel dibattito in corso da parte di ex giudici costituzionali.
Ma esiste allora una soluzione alternativa che non intacchi l’elemento “economico”?
Ebbene, c’è un altro comma della Costituzione che non è stato ancora approfondito nel modo dovuto. E cioè l’ottavo comma dell’articolo 117. Si tratta di due righe che così recitano: «La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni.».
Il 2 dicembre prossimo compirà cento anni l’Appello ai meridionali di Guido Dorso e altri, perché, allora, le regioni meridionali non costituiscono un organo comune, sulla falsariga del Bundesrat tedesco, per salvaguardare politicamente gli interessi del Sud? Tale organo, inoltre, sarebbe più che congruente anche con la recente istituzione della “Zes Unica”.
di Luigi Ruscello
[1] Cfr. Atti Parlamentari — p. 3 — Camera Deputati – Senato Repubblica – XVII LEGISLATURA — DISCUSSIONI — QUESTIONI REGIONALI — SEDUTA DEL 6 DICEMBRE 2017
NOTA BIO-BIBLIO
nato a Benevento il 29 maggio1946
residente in Benevento (82100) alla Via Avellino, 11/A Cell. 3405439526
e-mail [email protected]
Ha compiuto gli studi classici ed è laureato in Scienze politiche. Ha conseguito l’abilitazione alla professione di dottore commercialista e di revisore legale. Dal 1967, anno in cui inizia la carriera bancaria, si occupa di problemi economici. Ha collaborato con giornali, riviste e l’Eurispes. È autore di studi a carattere statistico-economico, tra i quali:
Benevento provincia interna. Lineamenti economici e ipotesi di sviluppo (1974)*;
Aspetti statistici del credito agrario in Campania (1977)*;
Lo sviluppo economico delle zone interne (1978);
I bilanci delle aziende di credito per gruppi dimensionali (1988);
Benevento e il Mezzogiorno (2010);
Turismo e sviluppo. Il caso di Benevento (2014);
La questione meridionale non avrà mai fine (2016), premiato 15 volte;
Giornata della memoria, neoborbonismo e cause perdute (2018)*, premiato 1 volta;
Secessione dei ricchi o svilimento della questione meridionale? (2019)*;
Brevi considerazioni sull’emigrazione vecchia e nuova (2019)*;
È realizzabile il regionalismo differenziato? (2019)*;
Luoghi comuni, miti e stereotipi dell’emigrazione italiana. È vero che espatriano i meridionali?
(2021), premiato 12 volte;
La riserva del 34% per il Mezzogiorno (2022 versione ridotta), premiato 1 volta;
Il turismo in provincia di Benevento. Gli indicatori di sintesi (2022)*;
La riserva del 34% per il Mezzogiorno (2023 versione estesa), premiato 2 volte;
Mezzogiorno e Germania Est. Un confronto (2023), premiato 2 volte.
Ostalgia, neoborbonismo e questione meridionale (2023), premiato 5 volte.
* reso pubblico sul sito academia.edu
Il link dell’OPAC in cui è indicata la produzione saggistica è il seguente: Clicca qui
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