Così ho scoperto la storia di fra’ Pacello da Mercogliano. Un genio italiano nella storia del Rinascimento francese
Lucia Gangale
Sono dovuta arrivare fino ad Amboise per scoprire la storia di fra’ Pacello da Mercogliano, il geniale monaco irpino che, insieme a Leonardo da Vinci, portò il Rinascimento in Val di Loira, quell’area di 900 metri quadrati nota come il “giardino di Francia” ed inserita nel patrimonio culturale dell’Unesco dall’anno 2000.
A Mercogliano, suo paese di origine, a fra’ Pacello è dedicata una strada. Ed anche questo l’ho scoperto ad Amboise. Tanto per capirci, la magnifica cittadina dove Leonardo da Vinci visse gli ultimi due anni della sua vita come artista al seguito di re Francesco I e dove il suo corpo è sepolto.
La storia di questo frate è emblematica di quanto l’intelligenza degli irpini abbia dato al mondo, di quante e quali tracce abbiano lasciato di sé nei luoghi dove le loro storie personali li hanno condotti.
Fra’ Pacello fu l’altro genio italiano che, in maniera diversa da Leonardo, portò la Renaissance in Francia, allestendo giardini magnifici e lavorando per tre sovrani: Carlo VIII, lo sfortunato re che voleva conquistare l’Italia e che era rimasto soggiogato bellezze della nostra penisola, quindi dal successore Luigi XII e poi dal munifico Francesco I, che al “suo bene amato Pacello” donerà il castello di Gaillard, in cambio solo di un bouquet annuale di fiori d’arancio. Si tratta di un dono rarissimo che un re abbia mai fatto ad un suo servitore, ma evidentemente, Catello aveva un fascino particolare, visto che era benvoluto dovunque. Ne parlano infatti come di un monaco “sorridente”, col dono di “far crescere le cose”.
Ancora oggi, allo château Gaillard, più defilato rispetto agli altri due castelli, quello reale appartenuto prima a Carlo VIII e poi a Francesco I, e quello di Clo Luce, dove visse Leonardo da Vinci, esiste una sorta di culto nei confronti di questo monaco venuto dall’Italia per diffondere bellezza ed allietare così l’esistenza dei suoi altolocati padroni. I quadri che lo ritraggono hanno praticamente il posto d’onore nelle stanze dove sono collocati tra quelli di alta nobiltà e teste coronate. L’elegante firma autografa di Pacello è esposta fuori e dentro il castello come se fosse un’opera d’arte. Sulle brochure non si parla che di lui. Nell’ampio giardino di 15 ettari vi è un padiglione a lui dedicato dove lungo tutta la giornata viene proiettato un video sulla sua storia e sulla sua creatività paesaggistica. La sua faccia bonaria e pienotta qui è dipinta sulle piastrelle del pavimento.
Pacello da Mercogliano, il cui vero nome era Catello Mazzarotta (o Mazzaretta), è stato il più grande giardiniere d’Europa durante il XV secolo. Basti solo sapere che ai suoi tempi era chiamato il «Leonardo dei giardini». Nasce a Mercogliano nel 1453 o 1455 e muore nel 1534. Della sua formazione gli storici affermano di non saperne molto, ma chi conosce e pratica l’Irpinia può fare congetture non peregrine. Immaginate Mercogliano, la perla del Partenio, questi monti bellissimi pieni di specie vegetali e biodiversità. Immaginate l’arte di coltivare le piante e curare i giardini, che non era certo sconosciuta alla famiglia monacale che qui ha radici plurisecolari. Immaginate dunque questo contesto favoloso unito alla sapienza dei religiosi, che all’interno dei conventi hanno da sempre praticato l’arte della cucina e quella medicamentosa a base di erbe.
Il geniale Pacello è colui che per la prima volta in Francia acclimata delle arance allo château Gaillard. Inoltre crea la prugna Regina Claudia, le cassette per la coltivazione delle arance, la limonaia, la coltura in serra e la prospettiva assiale dei giardini.
Nel Gaillard oggi ci sono 160 alberi di arance e limoni, usciti da 60 varietà insolite.
Fra’ Pacello maneggia anche lavanda, alloro, timo, agrifogli, e li fa crescere copiosi.
Come detto, fu il re Carlo VIII a portarlo con sé in Francia, insieme ad una ventina di altri artisti italiani. Il giovane sovrano (aveva solo 23 anni), sceso in Italia per conquistarla, era rimasto incantato dai giardini di Poggio Reale curati dallo stesso Pacello e di proprietà del re Ferdinando d’Aragona. Alla fine del Quattrocento, questo piccolo castello dotato di quindici ettari di terreno nel cuore di Amboise era un miracolo, e re Carlo VIII, parlando della sua felicissima posizione, diceva:
«L’inverno osa appena avventurarsi allo Château Gaillard».
Da precisare che qui tutto parla del Rinascimento italiano, anche il mobilio del castello in questione.
Pacello non sarà solo allo Château Gaillard, ma si occuperà anche dei castelli di Blois e di Gaillon. Nel 1503 sarà anche canonico della cattedrale di Saint-Sauver di Blois.
Tornando allo Château Gaillard, la sua fama è altresì legata al fatto che nel 1559, dopo sfarzose nozze celebrate a Notre Dame de Paris, Maria Stuarda (la sfortunata regina di Scozia che verrà imprigionata e poi decapitata sotto il regno di Elisabetta I nel quadro delle lotte tra cattolici e protestanti) ed il suo primo marito Francesco II vi passarono una luna di miele che durò tre settimane. Il castello, all’epoca, apparteneva allo zio di lei, il cardinale di Guisa.
La vita e l’opera di Pacello, arrivato ad Amboise a poco più di quarant’anni e rimastovi fino alla morte, avvenuta all’età di 87 anni a Blois, si intreccia così con quella di grandi avvenimenti storici sul suolo francese.
E mentre re e regine passavano, Pacello piantava e creava, inventava e segnava in modo duraturo la storia della Val di Loira con la sua arte e sapienza botanica e con le sue innovazioni paesaggistiche.
La riapertura dello Château Gaillard nel 2014, dopo un lungo periodo di abbandono ed a seguito dell’acquisto di privati (io ho pagato 14 euro per il biglietto di ingresso, a differenza di quasi tutti gli altri siti culturali francesi dove l’ingresso per i giornalisti è gratuito o almeno ridotto), permette oggi al grande pubblico di conoscere questa bella storia, emblema di una civiltà dai tratti luminosi.
La gratitudine per Pacello è tale che all’interno del castello potete trovare il “comptoir des agrumes Mercoliano”. Il nome del paese irpino è, chiaramente, francesizzato, così come quello del frate. Nei documenti che lo riguardano, infatti, potete trovare scritto “Pacello de Marcolliano” o “Mercoliano”.
Ditemi voi se questo irpino non è orgoglio e vanto della sua terra di origine?
Il lavoro non gli mancava di certo nel Regno di Napoli, dove creava “paradisi in terra” (come disse anche Carlo VIII), ma poi abbracciò con fede il nuovo cammino che il Padre Eterno gli indicava ed in Francia creò giardini di delizie, divenendo protagonista indiscusso del Rinascimento d’olpralpe, a cui apportò il gusto italiano.
Oggi su Pacello da Mercogliano c’è una copiosa letteratura scientifica, soprattutto estera, soprattutto francese, oltre ad alcune opere in lingua italiana.
L’Irpinia: terra di talenti, poeti, architetti, scrittori, viaggiatori e geni universali.
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