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‘Cravattari’, il Teatro Italia di Acerra accende i riflettori sulla legalità parlando di usura

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Acerra, 27 set. – Dalla gestione di un teatro in centro città, fino ad arrivare alla produzione di spettacoli a sfondo sociale. Il Teatro Italia di Acerra – Teatro Pulcinella, ha inaugurato la sua programmazione il 25 settembre, con lo spettacolo ‘Cravattari’, un testo liberamente ispirato alla scrittura di Fortunato Calvino, riadattato dalla scrittura e dalla commovente regia di Teresa Zito, coadiuvata dall’assistente alla regia Gigi Sorvillo. La rappresentazione si inserisce in una progettazione firmata Teatro Pulcinella, volta a sensibilizzare il territorio e la platea scolastica su argomenti di matrice legale e sociale, poco affrontati, ma necessari a far crescere la cultura della partecipazione e risoluzione di problemi ancestrali. Per questo Elena Fergola, seguendo la scia intenzionale di Carmine Puzone, apre le porte del teatro a copioni e rappresentazione dalla tematica di forte impatto e comunicabilità, attraverso la produzione.

Ad occuparsi della direzione scenica di ‘Cravattari’ che al suo esordio ha riscosso grande consenso,  è Federica Oliva, che porta avanti il progetto realizzato in collaborazione con l’Associazione di Promozione sociale ‘La Fiaba di Fiò’. Al trucco figura Emma De Michele, mentre costumi e scenografie vengono rispettivamente curati da Cristina Martiniello e Giovanni Fatigati.

Nel cast Marianna Russo, Agnese Crispino, Paola Guarriello, Patrizia Libretti e Lello Cirella, restituiscono il dramma delicato e spesso taciuto della fenomenologia dell’usura, descritta in tutto il suo pathos emotivo, con risvolti ora crudi, ora intrisi di speranza e riscatto.

Non si riescono a trattenere i pensieri solidali e riprovevoli, mentre si assiste allo spettacolo che costruisce sul palcoscenico una storia che si svolge tra passato e presente, così da riproporre contemporaneamente la vicenda di una famiglia che cade nella morsa degli usurai, fino a giungere alla disperazione e a cercare riscatto nel futuro nonostante il dolore, la dannazione emotiva, la frustrazione, che ha portato all’impiccagione di una madre di famiglia, quando ha scoperto che la figlia ha dovuto prostituirsi per congelare il tasso di interesse di usura in cui erano caduti.

La storia parte dalla compravendita di una casa, appartenuta in realtà a vittime di usura. La nuova, probabile proprietaria, Bianca, è decisa ad acquistarla, quando all’improvviso scopre nell’abitazione, delle fotografie appartenute alla precedente famiglia che l’abitava, imbattendosi nell’incontro con Rosa, la figlia dei vecchi proprietari che in realtà non ha lasciato la dimora per affezione, intendendo sincerarsi che gli acquirenti siano persone oneste, meritevoli di abitarla. Da qui parte il racconto della storia di Rosa e della sua famiglia. Uno specchio divide le abitazioni del passato e del presente, mettendo a nudo davanti a Bianca e alla stessa coscienza di Rosa, l’incubo dell’usura.

Rosa si apre così a Bianca e mostra cosa le sia accaduto in passato: i genitori sono caduti nella trappola dell’estorsione, finendo contemporaneamente nella morsa di tanti strozzini, fino ad accumulare debiti su debiti che mettono in pericolo la loro incolumità. Un telefono che squilla di continuo è il cappio metaforico che avvolge nella paura la famiglia, timorosa di minacce ed intimidazioni. Sulla scena compare una donna del quartiere, Assunta, apparentemente amica di Nunzia, la mamma della famiglia che con la ‘cravattara’ si apre fino a chiederle un prestito che poi sarà coperto di interessi.

La storia trova il suo culmine in questo momento, quando Assunta vincolerà Nunzia a sè promettendole di congelare tutti i suoi debiti in cambio di prestazioni lavorative da parte della giovane Rosa. Nunzia, ingenua e disperata, acconsente non sapendo che in realtà la figlia non dovesse occuparsi di pulizie domestiche in casa di Assunta, ma di prostituzione.

Una giovane vita, quella di Rosa, viene allora privata della spensieratezza, della purezza, accettando di scendere negli abissi della compravendita del suo corpo, solo per aiutare la famiglia bisognosa di tempo e respiro per saldare i debiti con gli usurai. In un momento di apparente quiete familiare l’equilibrio tra Rosa e Nunzia si rompe e la figlia le vomita contro tutto il disprezzo per averla coinvolta in un inferno senza fine. Nunzia, apprendendo le vere intenzioni di Assunta, si suicida, lasciando Rosa ed il padre Gennaro, nel dolore profondo. I ricatti imperversano nuovamente, fino a che Gennaro e la figlia non decidono di scappare attraverso un vecchio pozzo cui dà accesso la loro abitazione. Vivono in latitanza nei sotterranei di Napoli, accompagnati dalle ombre e dalla follia. Bianca a questo punto decide di andare a fondo della storia, aiutando Rosa ed il padre ad emergere letteralmente dallo sconforto e dall’abbandono. Li esorta a risalire tra la gente, preventivando un messaggio di riscatto e lontananza dalla paura che solo con l’aiuto della collettività può realizzarsi.

In un atto unico Teresa Zito stringe l’attenzione del pubblico su un tema antico e brutale. L’usura per quanto spietata, viene caricata di disprezzo costruttivo dalla scelta delle musiche che accompagnano il recitato, coprendo ciò che è sporco con compassione umana per le vittime di usura, tratteggiate nel copione in tutta la complessità emotiva e psicologica. Ne deriva la presentazione di un dramma nel dramma, che diventa denuncia pura e spinge il pubblico a non trascurare problematiche sommerse come quella rappresentata, invitandolo ad essere come Bianca, sentinella della vita e delle storie della gente, in nome di una società che merita di vivere nella legalità e nell’umanità.

 

 


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Pina Stendardo

Giornalista freelance presso diverse testate, insegue la cultura come meta a cui ambire, la scrittura come strumento di conoscenza e introspezione. Si occupa di volontariato. Estroversa e sognatrice, crede negli ideali che danno forma al sociale.