Dalla sovranità alimentare all’autonomia differenziata. Dal regionalismo al municipalismo
di Antonio del Mese.
Secondo Ludwig Feuerbach, filosofo tedesco dell’800, prima di qualsiasi cambiamento politico occorre che l’uomo si nutra.
Che c’entra il cibo con la politica?
C’entra, eccome: il cibo segna l’appartenenza ad una comunità e i pubblici poteri, attraverso il cibo, gestiscono il rapporto con i cittadini o, meglio, i sudditi. Cerchiamo di dimostrare questo assioma. In principio era la Lega. Il federalismo all’italiana nasceva con Bossi, il mitico senatùr, convinto propugnatore di un processo secessionista diretto a sancire una netta separazione fra le regioni del nord ed il resto d’Italia.
“Noi popoli della Padania, solennemente proclamiamo: la Padania è una Repubblica federale indipendente e sovrana. Noi offriamo, gli uni agli altri, a scambievole pegno, le nostre vite, le nostre fortune e il nostro sacro onore”: era il 15 settembre 1996 a Venezia, così il Senatùr proclamava la secessione della Padania.
Altro che popolo della Padania, i figli so piezz’ e core e devono seguire le orme del padre: fu così che Renzo Bossi divenne consigliere regionale della Lombardia e il padre, ingenerosamente, ad un giornalista che gli chiedeva se il figlio Renzo fosse il suo “delfino”, rispondeva in lingua padana: “Chel pirla lì l’è minga un delfin, ma l’è una trota“.
I leghisti, una volta in Parlamento, grazie al clima dolce ed accogliente di Roma ladrona, si romanizzavano mettendo finalmente le mani sul potere. Le tradizioni padane si persero tra un bucatino all’amatriciana, un rigatone alla carbonara o un tonnarello cacio e pepe.
Ed il sogno leghista?
Ebbe parziale attuazione grazie alla sinistra (governo Amato) che, per sottrarre voti alla Lega, modificava il Titolo V della Costituzione, dilatando senza controllo le competenze regionali e degli enti locali minori affidati, come abbiamo verificato a nostre spese, ad una classe politica incompetente e incapace.
Il progetto iniziale leghista veniva attuato dalla sinistra che, oggi, reclama il ritorno alla centralità dello Stato.
Ovviamente la Lega non è dello stesso parere e a fronte del pentimento della sinistra sta cercando di recuperare il terreno perduto attraverso il ministro Calderoli, uomo di indubbia fede secessionista e noto per aver dato dell’orango all’ex ministro del governo Enrico Letta, Cecile Kyenge, nel luglio 2013 alla festa della Lega Nord di Treviglio.
Con l’approvazione da parte del governo Meloni del disegno di legge sull’autonomia differenziata si è compiuto il primo passo di un lungo percorso e la Lega, in buona sostanza, sta portando a termine il disegno iniziale del senatùr, grazie alle opportunità concesse dal governo Amato: oggi le Regioni possono ottenere una maggiore autonomia senza dover ricorrere ad alcuna legge di revisione costituzionale, bastando una legge ordinaria approvata a maggioranza assoluta del Parlamento che, guarda caso, è quella di cui attualmente dispone il ministro leghista.
Ancora una volta la riforma politica non può che passare per il cibo: dall’amatriciana passeremo alle “fritture di pesce” invocate dal Governatore campano qualche anno fa a sostegno delle riforme renziane.
Nonostante l’apparente rassegnazione del Paese c’è chi si dichiara nettamente contrario affermando di volersi opporre a quest’andazzo: “è arrivato il momento di riconoscere che il regionalismo in Italia ha fallito e non solo nel Mezzogiorno, come è emerso durante la pandemia”.
Per questa parte, non trascurabile, di italiani è necessario tornare ad un sano municipalismo che, nell’ambito di grandi aree omogenee a livello regionale, potrà programmare le proprie politiche infrastrutturali e connettersi con il territorio nazionale.
Come?
Ripartendo dall’Italia dei Comuni: non sarà un caso se i sindaci meridionali che hanno dato buone prove di governo cittadino, hanno tutti fallito quando sono diventati presidenti di Regione”.
Vedremo chi la spunterà. E a quale costo.
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