Dimissioni di Zingaretti, tra poltrone anelate o avute, e gente chiusa in casa
L’Italia è in ritardo con i vaccini, ci sono 6 milioni di poveri e coloro che dovrebbero aiutare i cittadini si ritrovano a litigare. Zingaretti ha ben detto “lo stillicidio non finisce”, quello degli italiani. Quello sì.
“Politicamente ha sbagliato tutto ciò che poteva sbagliare.
Nell’agosto del 2019 ha subìto il governo Conte-bis e l’alleanza con i 5 Stelle per imposizioni “dall’alto” e dall’interno, anche se il suo istinto lo avrebbe portato a fare asse con Salvini e andare alle elezioni. Le avrebbe forse perse, ma avrebbe fagocitato i grillini egemonizzando il centrosinistra. La patata bollente del Covid sarebbe stata gestita da un governo di centrodestra, probabilmente non meglio di quanto ha fatto quello giallorosso. E lui avrebbe potuto comodamente lucrare sull’opposizione, additare disfunzioni e ritardi, farsi portavoce dei ceti produttivi contro i lockdown. Invece, dopo aver per settimane negato il problema, ha dovuto di nuovo obbedire a ordini dall’alto, abbracciare la linea del blocco totale, legarsi mani e piedi all’avvocato del popolo e alla linea Casalino, rendersi corresponsabile della più devastante recessione dal 1929.
Quando poi il Conte bis, travolto dai suoi fallimenti e dal pollice verso dei padroni di Berlino/Bruxelles/Washington, è collassato, lui ha negato fino all’ultimo la realtà, contrastando l’operazione di Renzi, scommettendo tutta la posta sul “ter”, e perdendo fragorosamente. Così ha dovuto da un momento all’altro far buon viso a cattivo gioco acconciandosi a Draghi e aderendo alla nuova ampia maggioranza in posizione di vistosa debolezza. Così ha definitivamente disgregato la sua ‘ditta’. Ancora una volta ha obbedito, invece di avere una propria strategia e un proprio profilo.
Come diceva Don Abbondio, il coraggio uno non se lo può dare.
E però non è tutta colpa sua.
Zinga è stato la logica espressione di un partito ormai senza identità, pura espressione di cordate ‘incistate’ negli apparati regionali, statali e internazionali, colonizzato da lobby minoritarie fondate solo sul potere mediatico del politicalcorrettismo, senza più un blocco sociale vero di riferimento.
Va detto a suo onore che ha svolto la sua funzione di “figurehead” almeno con garbo ed educazione, cosa per nulla scontata di questi tempi, sciogliendo la classica arroganza post-comunista in una bonaria forma di pragmatismo, in una scrollata di spalle.
Inoltre almeno ha indovinato le candidature di Bonaccini e Giani, e il basso profilo da tenere come partito alle regionali, salvando il ‘core business’, l’ultima Thule del potere della ‘ditta’. E spianando forse la strada a chi lo sostituirà, nell’ennesimo accrocchio trasformistico per tenere insieme gruppi e gruppetti in un’altra stagione.
Aggiungerei che allo scoppio del Coronavirus, pur facendo all’epoca propaganda “cinese”, nel suo aperitivo boomerang ai Navigli aveva indovinato una cosa che avremmo fatto tutti bene a tenere ferma, a cominciare da lui: che non bisognava fermarsi, bisognava difendere la normalità contro le logiche emergenzialiste.
E che quando grazie a quell’aperitivo si è beccato il Covid, in un momento in cui faceva molta più paura di oggi, si è comportato con garbo e signorilità, risparmiandoci selfie drammatici, bollettini medici, mea culpa con cospargimento di cenere e pistolotti, a differenza di tanti tragicomici ‘vip’ politici e non nei mesi successivi.
Infine, con tutti i suoi limiti e inadeguatezze, resta che Zinga è ancora espressione di una scuola di partito, di un abc della politica, distinto dall’orrido girone infernale dei guitti pentastellati e della loro corte dei miracoli, così come da tanti untuosi ‘cardinali’ piddini ridicolmente riverniciati da intellettuali.
Se penso che Concetta De Gregorio probabilmente stapperà lo champagne alle sue dimissioni, già lo rimpiango un po’.”
Eugenio Capozzi, storico
Le parole di Stefano Fassina fanno ridere, per non piangere.
“Dopo aver fatto fuori Giuseppe Conte, rimaneva l’ostacolo Zingaretti al programma di normalizzazione dell’Italia. Un grande abbraccio a Nicola. Siamo stati sconfitti, ma non siamo vinti. Continuiamo a lavorare all’alleanza progressista con il Movimento 5 Stelle”.
Un minuto di silenzio per tutti quelli che restano incollati ai 5stelle, recitando ogni giorno il ruolo dei bravi cittadini, con lecchinaggio a seguito e disprezzo legittimo dell’Italia che al buonismo celato preferirebbe un Governo capace, coraggioso e degno di impartire lezioni su come gestire le emergenze.
Altro che poltrone e ridicoli colpi di scena.
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