Don Luigi Sturzo dà lezioni di politica (e non solo) ad alcuni politici attuali
“Se ho il diritto di rappresentare qualche cosa nella vita pubblica è proprio la democrazia, sia pure la mia democrazia. Io non potrei accettare di essere nel Comitato un ‘democratico sospetto e tollerato’, né affatto di essere preso come rappresentante degli interessi della Chiesa (una specie di cappellino del nuovo Governo)”.
Don Luigi Sturzo
Fierezza ed amarezza in queste parole che Sturzo scrive al conte Carlo Sforza in quei mesi – siamo nel 1941 – per la Costituzione di un comitato nazionale italiano all’estero, una specie di Governo provvisorio italiano.
Per Sturzo cosa era la democrazia?
Una fede democratica maturata ed elaborata da Giuseppe Toniolo, liberale dunque.
Una concreta azione che, però, abbracciasse anche il sociale. E qui vorrei chiedere ai nostri governanti cosa hanno mai capito di Sturzo. Sperando sappiano chi sia.
“La Costituzione è il fondamento della Repubblica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà”.
Stranamente lo sorprenderemo nel secondo dopoguerra in una curiosa polemica con La Pira. Questi si era fatto portavoce, grazie ai sondaggi, dei problemi della disoccupazione chiedendo che lo Stato se ne facesse carico con una serie di investimenti capaci di assorbire la manodopera disoccupata. Ebbene, don Luigi Sturzo, che rimase un attento osservatore e commentatore della politica italiana, non esitò a tacciarlo di statalismo.
Potrete immaginare cosa direbbe dei redditi di cittadinanza, sui quali avrebbe espresso diniego lo stesso La Pira, dato che le sue ‘agevolazioni’ erano di tutt’altra natura.
“C’è chi pensa che la politica sia un’arte che si apprende senza preparazione, si esercita senza competenza, si attua con furberia. È anche opinione diffusa che alla politica non si applichi la morale comune, e si parla spesso di due morali, quella dei rapporti privati, e l’altra (che non sarebbe morale né moralizzabile) della vita pubblica. La mia esperienza lunga e penosa mi fa invece concepire la politica come saturata di eticità, ispirata all’amore per il prossimo, resa nobile dalla finalità del bene comune”.
Questa frase tagliente e dura servirebbe soprattutto a chi fa politica senza aver mai aperto seriamente un libro. Non me ne voglia Di Maio, ma nessuno politico serio sbaglia continuamente i congiuntivi e nessuno che abbia studiato il latino si sognerebbe di pronunciate vairus al posto di virus.
Amore per il prossimo, bene comune: chiederei a don Sturzo se il terrorismo psicologico che stiamo subendo da mesi sia amore verso i cittadini. Se è giusto per il bene comune, continuare con questi bombardamenti mediatici sul Covid 19.
“La Costituzione è il fondamento della Repubblica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà”.
Sturzo ebbe un alto senso del partito, ritenendolo un momento di aggregazione essenziale per una corretta dialettica democratica.
“È giusto che i gruppi parlamentari, dacché esistono, si consultivo insieme e cerchino di formarsi un’opinione comune sui problemi legislativi e politici in discussione. Ma tranne il caso in cui sia posta al Governo la questione di fiducia, per la quale i partiti si schierano pro o contro per motivi di indirizzo politico, non si può domandare a nessuno una disciplina che contraddica alla libertà individuale sulla quale è basato il mandato politico”.
Ma ciò che preoccupava Sturzo della ‘partitocrazia’ non era soltanto lo sconvolgimento delle regole di una vera democrazia rappresentativa, ma anche lo sconvolgimento della morale pubblica. Un partito preoccupato solo del suo potere era destinato inevitabilmente ad alimentare la demagogia, il populismo, l’individualismo.
Ciò che è accaduto ai 5stelle che, presi dal loro delirio anticasta, sono diventati essi stessi la peggiore delle caste.
Un altro aspetto politico sturziano è quello della concezione a – confessionale della vita politica e del partito popolare. Sapete che lui fondò il Partito Popolare. La sua posizione è di una estrema limpidezza “La Chiesa non ha da scegliere, perché non è suo compito la scelta del tipo politico dello Stato, ma essa non può confondersi con lo Stato totalitario, solo perché vi sono governanti cattolici (quali Franco o Salazar, e prima Dollfuss e Schuschnigg) senza assumersi la responsabilità dell’oppressione della popolazione dissidente a norme non solo di un governo totalitario, ma a nome della religione che il governo totalitario fa sua”.
Un po’ come ‘libera Chiesa in libero Stato’, motto tanto caro a Camillo Benso conte di Cavour.
Non è allo Stato, ma alla Chiesa che compete la cura delle anime, la cura della fede.
Né allo Stato né al partito si addice, secondo don Sturzo, l’aggettivo cattolico, giacché, per la natura stessa della politica, una stessa ispirazione cristiana può trovarsi in una pluralità di forme politiche e partitiche.
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