Gaza, tensione Netanyahu-Biden. I ‘piani israeliani’ per evitare lo scontro con gli Usa
(Adnkronos) – Ci sarebbero 'piani israeliani' su Rafah mentre vanno avanti le tensioni tra Stato ebraico e Stati Uniti sull'operazione. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu sceglie infatti di andare avanti in solitaria sull'invasione – promettendo di sconfiggere Hamas – nonostante le pressioni della Casa Bianca e con la speranza di "superare le divergenze" con il presidente americano. Intanto, sul fronte cessate il fuoco a Gaza e liberazione degli ostaggi, frenano i negoziati andati avanti a fatica, con l'organizzazione islamista che ora scarica ogni responsabilità di un accordo interamente sulle spalle di Israele: "Ora la palla è completamente nel loro campo". Continua intanto la guerra nella Striscia, razzi palestinesi lanciati contro il valico di Kerem Shalom: le news. "Conosco Joe Biden da molti anni, da più di 40 anni. Spesso siamo stati d'accordo, ma abbiamo anche avuto divergenze. Siamo stati in grado di superarle. Spero potremo superarle anche adesso". Si è espresso così il premier israeliano Benjamin Netanyahu nel mezzo delle tensioni con gli Usa dopo lo stop di Biden all'invio di armi al Paese in caso di operazione a Rafah. "Faremo quello che dobbiamo fare per proteggere il nostro Paese e questo significa proteggere il nostro futuro – ha poi insistito il premier israeliano in un'intervista al talk show 'Dr. Phil' rilanciata dalla Cnn -. E significa che sconfiggeremo Hamas, anche a Rafah". "Non abbiamo altra scelta", ha insistito il premier. Il premier israeliano, del resto, era già stato chiaro. ''Se dobbiamo restare soli, resteremo soli'', ma ''combatteremo con le unghie e con i denti'' perché ''siamo determinati e siamo uniti per sconfiggere i nostri nemici e coloro che vogliono farci del male'', aveva detto nel videomessaggio diffuso su 'X' in vista del Giorno dell'Indipendenza che si celebra il 14 maggio. ''75 anni fa. Eravamo pochi contro molti'' mentre ''oggi siamo molto più forti'', aveva rimarcato. La posizione assunta dal presidente degli Stati Uniti non sembra quindi condizionare i programmi di Israele. Il presidente americano ha affermato che Washington non invierà più armi a Israele se l'operazione a Rafah, dove sono rifugiati circa 1,5 milioni di palestinesi, avesse luogo. Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno ''armi a sufficienza per le missioni pianificate, anche per Rafah'', ha spiegato portavoce delle Idf, Daniel Hagari . ''Le Idf dispongono di armi per le missioni che stanno pianificando, e anche per le missioni a Rafah. Abbiamo ciò di cui abbiamo bisogno'', ha detto. Hagari ha quindi sottolineato che ''gli Stati Uniti hanno finora fornito assistenza in materia di sicurezza allo Stato di Israele e alle Idf durante la guerra in un modo senza precedenti''. Inoltre, il capo di stato maggiore delle Idf, il generale Herzi Halevi, parla ogni giorno con il capo del Centcom Usa, il generale Michael Erik Kurilla. ''Anche quando ci sono disaccordi tra noi, li risolviamo a porte chiuse'', ha detto Hagari. La Casa Bianca, intanto, continua il pressing su Netanyahu. "Distruggere Rafah non porterà a raggiungere l'obiettivo di Washington e Tel Aviv di sconfiggere Hamas a Gaza'', ha detto dichiarato John Kirby, portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, spiegando che gli Stati Uniti hanno proposto a Israele ''metodi diversi per fare pressione su Hamas''. Ovvero, ''esistono modi migliori per sconfiggere ciò che resta di Hamas a Rafah rispetto a una grande operazione di terra''. Il presidente Biden e il suo team "sono stati chiari per diverse settimane sul fatto che non supportiamo un'importante operazione di terra a Rafah, dove più di un milione di persone si stanno rifugiando senza un posto sicuro dove andare'', ha aggiunto Kirby, evidenziando la necessità di fornire aiuto alla popolazione. "Vogliamo che tutta l'assistenza umanitaria continui a passare attraverso il valico di Rafah e tutti gli altri valichi il più presto possibile", ha detto ancora. Gli Stati Uniti, ha spiegato, hanno chiesto agli israeliani di riaprire il valico e loro hanno accettato, ma senza fornire una tempistica. Da due giorni nessuno aiuto è entrato dai valichi con il sud della Striscia di Gaza, come ha detto il direttore per la Palestina di World Food Programme (Wfp), Matthew Hollingworth, spiegando che ''il nostro magazzino principale non è accessibile. Nessun aiuto è entrato attraverso i valichi meridionali in due giorni''. Con un post su 'X', Hollingworth ha spiegato che ''solo un panificio funziona ancora. Le forniture di cibo e carburante a Gaza dureranno solo 1-3 giorni. Dopo di che, le nostre operazioni si fermeranno''. Ci sarebbero intanto "piani israeliani" per operazioni distinte in "ogni zona di Rafah", nel sud della Striscia di Gaza. Lo scrive il giornale libanese Al Akhbar che cita un ufficiale egiziano. L'obiettivo di Israele sarebbe evitare "lo scontro", ossia le ire di Stati Uniti e comunità internazionale in un contesto di tensioni. La situazione a Rafah, ammette la fonte, "sta peggiorando ulteriormente". Il giornale cita fonti egiziane secondo cui "Israele ha informato" Il Cairo del "proseguimento" delle operazioni militari al confine tra Gaza ed Egitto nella città di Rafah e dell'intenzione di effettuare "operazioni mirate" nella zona con informazioni fornite all'Egitto sulle unità e le dotazioni impiegate per le attività. Potrebbe intanto essere questione di ore la presentazione al Congresso da parte del segretario di Stato Usa, Antony Blinken, del rapporto su Israele, fortemente critico riguardo la condotta a Gaza, che però non arriverebbe a concludere che ci siano state violazioni dei termini per l'impiego di armamenti Usa. Lo rivela Axios, che cita tre funzionari Usa, secondo cui il rapporto potrebbe essere presentato nelle prossime ore. Il documento relativo al rispetto delle leggi internazionali e americane, anche riguardo la distribuzione degli aiuti umanitari, era inizialmente atteso entro l'8 maggio e arriva in un momento di forti tensioni tra Israele e Stati Uniti. Secondo due fonti Usa citate da Axios, nelle ultime settimane in un messaggio al presidente americano Joe Biden dell'ambasciatore americano in Israele, Jack Lew, e dell'inviato Usa David Satterfield si afferma che Israele non sta violando il diritto internazionale nelle operazioni militari che dall'attacco del 7 ottobre in Israele martellano la Striscia di Gaza. Il rapporto è previsto dal National Security Memorandum, emesso a febbraio dal presidente Joe Biden, e il Dipartimento di Stato sta esaminando l'impiego degli armamenti da parte di Israele e di altri sei Paesi coinvolti in conflitti armati.
"Ora la palla è completamente nel campo" di Israele. E' quanto afferma Hamas confermando che la sua delegazione ha lasciato Il Cairo alla volta del Qatar e che, "in pratica", Israele "ha respinto la proposta presentata dai mediatori e sollevato obiezioni su varie questioni centrali" per arrivare a un accordo di cessate il fuoco. Secondo notizie rilanciate dal Times of Israel, è questo il contenuto di un messaggio di Hamas alle altre fazioni palestinesi passati più di sette mesi dall'attacco dello scorso 7 ottobre in Israele e dall'avvio delle operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza.
Hamas avrebbe chiesto a Israele di accettare un'iniziale pausa di 12 settimane nei combattimenti, anziché di sei settimane, creando un "ostacolo importante" nei negoziati, riporta la Cnn che cita tre fonti in riferimento a quanto avvenuto lunedì scorso, alla più recente 'controproposta' di cessate il fuoco. I funzionari israeliani, evidenziano, sono fortemente contrari ad accettare la richiesta nella convinzione che non sia differente dall'accettare la fine del conflitto.
Gratitudine all'Egitto per il suo impegno per arrivare a un cessate il fuoco "immediato" che garantisca il rilascio degli ostaggi, trattenuti nella Striscia di Gaza dall'attacco in Israele dello scorso 7 ottobre, è arrivata intanto dal segretario di Stato Usa, Antony Blinken. Nelle ultime ore, ha reso noto il Dipartimento di Stato, Blinken ha avuto un colloquio telefonico con il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, con il quale ha parlato del lavoro diplomatico in corso "per evitare che il conflitto di allarghi". Blinken ha ribadito la "posizione chiara" di Biden: gli Stati Uniti "non sostengono" un'operazione militare su vasta scala a Rafah e si oppongono a qualsiasi trasferimento forzato dei palestinesi da Gaza. Il segretario di Stato Usa ha anche manifestato il sostegno degli Stati Uniti per la riapertura del valico di Rafah e il flusso continuo di assistenza umanitaria necessaria con urgenza. Serve "flessibilità" da parte di Hamas e Israele, quanto si legge in una nota diffusa dal ministero degli Esteri egiziano dopo il colloquio telefonico tra il capo della diplomazia del Cairo e il segretario di Stato Usa. Secondo la nota, c'è sintonia di vedute sull' "importanza di esortare le parti a mostrare flessibilità" e "compiere tutti gli sforzi necessari per arrivare a un accordo di cessate il fuoco". Il Cairo avrebbe quindi chiesto a Washington pressioni su Israele per convincere il governo di Benjamin Netanyahu a porre fine alle sue operazioni a Rafah e a riprendere "seriamente" i negoziati. E' quanto scrive il giornale libanese Al Akhbar, che cita sue fonti secondo le quali sarebbe questo il senso del messaggio recapitato da funzionari egiziani al capo della Cia, William Burns, nel corso di colloqui dei giorni scorsi al Cairo. “Sforzi in atto per riprendere i negoziati per un cessate il fuoco a Gaza fra pochi giorni a Doha", rivela quindi il sito del quotidiano vicino alle autorità qatarine ‘Al-Araby Al-Jadeed’ citando fonti diplomatiche egiziane ed occidentali al Cairo, secondo cui il primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdul Rahman Al Thani ha invitato il capo dell'intelligence egiziana Abbas Kamel ed il direttore della Cia William Burns a riprendere i negoziati nella capitale del suo paese. Inoltre, una fonte egiziana riferito che Burns ha confermato che “ci sarà una nuova telefonata tra il presidente americano Joe Biden e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu entro due giorni, per un rapido ritorno ai negoziati e al raggiungimento di un accordo”. Razzi lanciati dal nord della Striscia di Gaza hanno intanto preso di mira il valico di Kerem Shalom con il sud di Israele, l'unico aperto dopo l'annunciata operazione militare israeliana su Rafah. Lo rende noto il sito di Ynet. Il Times of Israel spiega che le sirene di allarme antiaereo sono suonate nella comunità di Kerem Shalom per avvertire del pericolo. Meno di un'ora prima le sirene erano suonate nelle vicine Holit e Sufa. Sono circa 110.000 le persone che sono fuggite da Rafah, nel sud della Striscia, alla ricerca di "sicurezza" altrove nell'enclave palestinese martellata da sette mesi di operazioni militari israeliane contro Hamas. "Mentre si intensificano i bombardamenti delle forze israeliane a Rafah, proseguono gli sfollamenti forzati", denuncia via X l'Unrwa, che stima siano "circa 110.000 le persone che hanno lasciato Rafah in cerca di sicurezza". "Ma nessun posto è sicuro nella Striscia di Gaza – denunciano – e le condizioni di vita sono atroci. L'unica speranza è un cessate il fuoco immediato". —internazionale/[email protected] (Web Info)
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