Attualità

Guerra, noi italiani non siamo “adatti”

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Anna Tortora

Sono giorni che non stiamo bene, sereni.Il pensiero di questa guerra ci distrugge, distrugge i nostri sogni, l’idea che ci siamo fatti, negli anni, di una certa evoluzione. Esseri umani che muoiono, umiliati e privati della dignità. Terribile, surreale.
Davanti a questo, noi italiani non siamo abituati…
“Non siamo adatti a quest’epoca. È un’epoca di guerre. Le armi risuonano tremende.
A questo non siamo adatti, non siamo preparati, perché abbiamo avuto la fortuna di vivere probabilmente il più lungo periodo di pace della storia umana. Nessuno di noi metteva più in conto l’eventualità di una guerra. Ci eravamo illusi che la pace avesse conquistato i cuori per sempre.
All’epoca dei governi democristiani, la figura del militare era caduta molto in basso nella scala sociale. Tutti pensavano: a cosa ci serve un Esercito? Ormai c’è la pace. Avevamo dimenticato l’ammonimento degli antichi romani: si vis pacem, para bellum.
Nel 2003 fui invitato a Bruxelles dai capi della Nato. Eravamo una ventina di giornalisti. Ero l’unico italiano, gli altri venivano anche da Paesi ex sovietici, Polonia, Romania, Cecoslovacchia. E tra noi commentavamo com’era bello bere insieme una birra e ridere e chiacchierare, mentre i nostri padri e nonni si erano combattuti. Anche lì, pensavamo che la pace sarebbe durata per sempre.
Invece eccoci qua, piombati in un brutto clima bellico, di cui non si vede la fine, anzi c’è il timore che la crisi possa allargarsi a macchia d’olio.
Non siamo adatti, dicevo, perché eravamo abituati alle comodità della pace.
Ricordo un collega del Times di Londra. Quando i soldati americani partirono dal Kuwait e cominciarono a risalire il deserto iracheno, lui andò in crisi. Riuscì a resistere tre giorni, poi mandò un messaggio al suo giornale: “Torno a casa, non sono fatto per seguire eserciti nei deserti. Sono nato per prendere il tè coi biscottini alle 5″.
Ecco, non siamo adatti. Non siamo preparati mentalmente. Siamo stati colti di sorpresa dalla guerra, dalle guerre. E le nostre reazioni sono inadeguate, spesso fuori luogo, ci sforziamo di dimostrare chi ha torto e chi ha ragione, ci commuoviamo per le persone massacrate, imploriamo di evitare vittime. Per carità, è giusto e umano piangere davanti a tanto scempio.
Ma al mostro della guerra non importa un fico secco di questi dettagli.
L’unico discrimine in una guerra riguarda il finale: chi vince e chi perde. Tutto il resto è semplice flatus vocis. E chi vince e chi perde non influenza solo il futuro del vincitore e dello sconfitto, l’esito riverbera i suoi effetti ben al di là dei confini dei belligeranti.”
Marco Nese, giornalista e scrittore

Noi, italiani di oggi, non siamo disabituati neanche a ragionare. A distinguere ciò che è possibile dall’impossibile. Tanto è vero che ciò che ci sembrava impossibile si è materializzato..L’orrore della guerra ci viene posto quotidianamente davanti agli occhi.
Ma abbiamo sentito i racconti dei nostri nonni, loro sì che avevano visto la guerra.
E come scriveva Henry Kissinger, nel suo libro Anni di crisi, “Da quando esiste la guerra gli attacchi a sorpresa sono stati oggetto di scritti e di analisi”.


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Anna Tortora

Nata a Nola. Si è laureata alla Pontificia facoltà teologica dell'Italia meridionale. Le sue passioni sono la politica, la buona tavola, il mare e la moda. Accanita lettrice, fervente cattolica e tifosa del Milan.