“I dazi farebbero male agli americani”. L’allarme di Norquist – Video
(Adnkronos) – Nello studio vodcast dell’Adnkronos abbiamo ospitato Grover Norquist, presidente di Americans for Tax Reform, think tank americano che da 40 anni promuove una politica economica “reaganiana”: meno tasse, meno burocrazia, meno intervento pubblico. Un movimento da sempre vicino ai repubblicani – tanto che lo stesso Trump ha firmato il ‘pledge’ prima delle elezioni – ma che ora si trova davanti un presidente che minaccia ogni giorno l’adozione di dazi, anche contro gli alleati europei.
Come si può conciliare questa spinta protezionistica con l’approccio di libero mercato che da sempre contraddistingue la sua parte politica?
Donald Trump, nella maggior parte dei casi, è un classico repubblicano reaganiano. Ha fatto campagna per ridurre le tasse e ha promesso di non aumentarle mai. Nello scorso mandato ha abbassato la tassazione sulle imprese dal 35% – il livello più alto al mondo – al 21%, e puntava a ridurle ancora. Vuole anche ridurre la spesa pubblica, ma ha a che fare con un Congresso con una risicata maggioranza repubblicana. Reagan non ha mai avuto una maggioranza alla Camera e al Senato, quindi ha dovuto lottare per ridurre la spesa e non sempre ha vinto, perché i democratici non facevano nulla senza ottenere in cambio fondi per le misure che servivano loro per mantenere il consenso politico. Trump vede un valore nei dazi, ma non tanto per ragioni economiche, quanto come strumento di pressione. Li usa per negoziare con Panama, Colombia, Messico e Canada, per ottenere concessioni che altrimenti non otterrebbe. Non ha nulla a che fare con la bilancia commerciale, ma piuttosto con la geopolitica: vuole ad esempio che la Cina lasci il Canale di Panama, che la Colombia accetti il rimpatrio di criminali espulsi dagli Stati Uniti e che il Messico schieri truppe al confine, come fa già con il suo confine meridionale. Il Messico ha un muro per impedire l’ingresso nel proprio Paese, ma non rispetta il confine con gli Stati Uniti né aiuta a mantenerlo sicuro. Trump ha minacciato dazi e le cose sono cambiate. Se mai dovesse realmente applicare i dazi, il danno ci sarebbe eccome: per l’economia e i consumatori americani, perché i dazi sono tasse. Non sono tasse sulla Cina o sugli stranieri, ma sugli americani. In una guerra commerciale, i feriti si fanno col fuoco amico. I dazi europei sulle merci americane colpiscono gli europei; i dazi americani sulle merci cinesi colpiscono gli americani. Non capisco perché il presidente consideri i dazi una buona idea in astratto, perché gli effetti secondari e terziari sono peggiori di qualsiasi vantaggio immediato.
Elon Musk e il suo Doge, Dipartimento per l’efficienza governativa, hanno inviato un'email a due milioni di dipendenti pubblici offrendo qualche mese di stipendio in cambio delle loro dimissioni. I collaboratori di Musk hanno avuto libero accesso al sistema federale dei pagamenti, cosa che è stata molto criticata. Voi chiedete una riduzione della spesa pubblica, ma che pensate del modus operandi di Musk?
Questa operazione arriva con 20-30 anni di ritardo. Certo, oggi è più facile trovare gli sprechi affidando decine di migliaia di documenti all’intelligenza artificiale, ma in passato sarebbe bastato stampare i dati su carta e controllarli. Abbiamo scoperto, ad esempio, che alcuni assegni della previdenza sociale venivano inviati a persone senza numero di previdenza sociale. Dovrebbe essere ovvio che qualcosa non va. Molti stati già rendono pubbliche tutte le transazioni pubbliche. È possibile vedere ogni contratto e dove vanno a finire i soldi. Tuttavia, il governo federale ha tenuto questi dati nascosti al Congresso, ai cittadini e persino ad altri funzionari governativi. I media tradizionali come il Washington Post e il New York Times non si sono mai interessati a investigare questi sprechi. Questo dimostra che la stampa non è davvero un cane da guardia del potere.
Parliamo dell’Europa. Si è appena concluso il Paris AI Action Summit, dove per la prima volta in Europa ha parlato il vicepresidente J.D. Vance. Ha stroncato la regolamentazione europea della tecnologia e invitato il continente a unirsi alla corsa americana per non finire schiacciato dalla burocrazia. La Commissione europea ha appena annunciato il ritiro della direttiva sulla AI Liability, segno che sta cercando di adattarsi al ritmo dell’innovazione americana. Cosa può fare l’Europa per essere più competitiva in questo settore?
L’Europa ha scelto di non giocare un ruolo centrale nella tecnologia, perché ha tasse troppo alte e regolamenti troppo stringenti. Gli investimenti fluiscono verso gli Stati Uniti perché le imposte sono più basse e c’è maggiore certezza normativa. Gli Stati Uniti hanno lasciato che Internet si sviluppasse senza interferenze, vietando la tassazione locale sul digitale. Quando Biden ha cercato di censurare le grandi aziende tecnologiche tramite pressioni governative, il tutto è venuto alla luce, come raccontato anche da Mark Zuckerberg, con funzionari federali che minacciavano i leader di queste grandi aziende affinché cancellassero contenuti considerati scomodi. Questo non accadrà di nuovo. L’Europa dovrebbe ridurre tasse e regolamentazioni. Se i cittadini vogliono privacy, possono scegliere servizi che la garantiscono o crearne di nuovi.
Non crede sia giusto disciplinare eventuali abusi sui diritti umani, la privacy o il copyright?
Questi abusi sono già puniti dai nostri ordinamenti, non serve creare altre dozzine di norme. La regolamentazione ex ante, provare a prevenire qualsiasi condotta immaginabile attraverso norme rigide, soffoca l’innovazione. Meglio lasciar libera l’iniziativa e poi, davanti a un illecito, andare da un giudice e trovare ristoro.
Parliamo dell’Italia: Giorgia Meloni ha buoni rapporti sia con Trump che con Musk. Tuttavia, c’è il problema della spesa per la difesa: l’Italia spende solo l’1,5% del PIL, mentre la Nato chiede il 2% e Trump ora punta addirittura al 5%. Come si può aumentare la spesa militare, che è una tipica prerogativa degli stati, rispettando il mantra della sua organizzazione e dunque riducendo tasse e dimensione della pubblica amministrazione?
Abbassare le tasse stimola la crescita economica e, di conseguenza, aumenta le entrate fiscali. È accaduto sotto Reagan, Kennedy e negli anni ‘20. Inoltre, bisogna eliminare gli sprechi. Negli USA stiamo riducendo il numero di dipendenti civili del Pentagono da 700.000 a 500.000 senza alcuna perdita di efficienza. Così si liberano risorse per la difesa vera e propria. Riguardo Giorgia Meloni, credo che mai come ora l’Italia sia il principale interlocutore per l’amministrazione americana. La premier ha un ottimo rapporto con il presidente anche perché non prova a impartire lezioni né ha interessi nascosti. Cosa ben diversa, rispettivamente, per Francia e Germania. Lei può spiegare al presidente la posizione dell’Unione europea e in questo avrebbe la sua attenzione. Non ci sono molti altri in questa posizione. L’Ungheria di Orban, per quanta comunanza di idee possa esserci, non ha il peso italiano, né la capacità di Roma di mediare anche sulle questioni più controverse. Meloni in Europa, Milei in America Latina: questi sono i leader che avranno successo durante il mandato Trump. —internazionale/[email protected] (Web Info)
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