21 Novembre 2024
Arte e Spiritualità

‘Il quarto stato’, l’arte manifesto del Primo Maggio

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Voce al popolo in una contestualizzazione storica evidente, quella della Festa dei Lavoratori che nel 1889 prese il via come riconoscimento della rivendicazione ai diritti di tutti gli occupati. Il ‘Quarto stato’ è il dipinto manifesto che celebra questo avvenimento e risale al lavoro del pittore Giuseppe Pellizza da Volpedo che lo realizzò nel 1898.

Raccolse come cronista su tela il racconto di una parte del popolo milanese che si era ribellato al governo scendendo in strada per protestare contro le condizioni di lavoro disumane e l’aumento del prezzo del pane. Si unirono alle proteste che si stavano verificando in tutte le altre città italiane. Il pittore era rimasto turbato dalla dura reazione del governo che attuò una sanguinosa repressione. Il generale Fiorenzo Bava Beccaris aprì il fuoco sulla folla con 11.164 pallottole e nove colpi di cannone. Morirono 83 persone: 81 civili che neppure avevano preso parte alla protesta; oltre 450 furono invece i feriti.

Pellizza decise di ritrarre i lavoratori su tela, riprendendo il lavoro della ‘Fiumana’ che aveva concluso due anni prima, per poi rifarlo dandogli attualità alla luce della cronaca storica. Per dodici giorni, pagati tre lire al dì, suoi amici e parenti di Alessandria, si misero in posa.

La fiumana di persone fu scelta ad uno ad uno. Fu realizzata dipingendo nella piazza del paese, piazza Malaspina, dove è ambientata l’opera.

Al centro della scena ci sono tre persone. Il primo da sinistra è un falegname, tal Giacomo Maria Clemente Silvestro. Al centro c’è anche una donna che scalza, tiene in braccio un bambino. Si tratta di Teresa Bidone, che Pellizza aveva sposato nel 1892. Morì di parto per il terzogenito che portava in grembo. Il piccolo si chiamava Luigi Albasini. L’altra donna che appare nel quadro era considerata la più bella del paese. Era Emilia Bruno.

Tra la folla, con le braccia larghe e le mani aperte c’è il contadino Luigi Dolcini con le mani callose, vuote per la fatica. Accanto a lui c’è l’artigiano Giuseppe “Pepù” Tedesi, che all’occorrenza vendeva stracci. Alla destra di Tedesi, c’è un altro contadino, Lorenzo Roveretti; poi il cestaio Costantino Gatti e Maria Albina Bidone, sorella minore della moglie di Pellizza con il marito Giovanni Ferrari.

Pellizza si inserisce nel dipinto come tanti pittori usavano fare. Si trova al centro del quadro. Partecipa alla protesta simbolicamente e rappresenta un fiero 35enne lavoratore col cappello in testa, baffi e folta barba scura, con una mano nella cintola dei pantaloni e l’altra con la giacca appoggiata sulla spalla destra. Va incontro all’osservatore e lo catapulta nell’olio su tela mastodontico (545×293 cm), dedicato alla classe operaia inserita nel quarto stato.

Nella massa si cerca un equilibrio, pari all’equo diritto a salari e condizioni di vita uguali per tutti. Con una sottoscrizione civica la città di Milano lo acquistò nel 1920. Il quadro era diventato simbolo della lotta operaia e fu pagato 50.000 lire. Ancora oggi parla a chi lo osserva, chiamandolo ad essere partecipe alla protesta del Primo Maggio, qualora ce ne fosse bisogno…perchè ce n’è sempre bisogno.


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Pina Stendardo

Giornalista freelance presso diverse testate, insegue la cultura come meta a cui ambire, la scrittura come strumento di conoscenza e introspezione. Si occupa di volontariato. Estroversa e sognatrice, crede negli ideali che danno forma al sociale.