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Il ricordo di Philippe Daverio, uno degli ultimi giganti in un mondo di trascurata bellezza

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Milano, 3 set. – “La vita è come un quadro, pieno di pennellate che vanno nel verso giusto, ma ce n’è sempre una che, nonostante l’attenzione del pittore, esce dai confini, macchia il pavimento: ecco, quella è la morte, ineluttabile, fatale, uno strascico blu nell’infinito magniloquente e fantasmagorico, un’esplosione oltre la cornice che tutti vivremo (o moriremo), polvere barbaramente bistrattata quantunque paventasse un volo pindarico.”

Così Philippe Daverio sintetizzava lo scorrere del tempo seguendo la luminosa scia della cultura con tutte le sue pennellate artistiche.

Ci ha lasciato il noto critico d’arte di origini alsaziane. È morto nella notte tra l’1 e il 2 settembre all’Istituto dei Tumori di Milano.

Quarto di sei figli, bonario ed arguto, ha raccontato l’Arte con immensa passione, unico, vero ingrediente che fa sempre la differenza.

Ha studiato alla Bocconi, dando l’ultimo esame, senza discutere la tesi per poi laurearsi. Comportamento bizzarro, proprio come era lui!

Gentleman della comunicazione, Daverio ha raccontato l’evolversi dell’anima tra bellezza ed armonia.

Con un papillon colorato, una giacca anticonvenzionale ed un paio di occhiali in perfetto stile ottocentesco, il cultore dell’arte ha guidato neofiti, curiosi ed appassionati del genere, nelle pieghe più ardite dei tratti espressivi.

Un piacere immenso ascoltarlo nel suo parlare peripatetico in luoghi di incommensurabile valore.

“Il parametro ‘abstarctus’, assoluto di bellezza, non può esistere”, ripeteva spesso. La sua lezione diventa attuale in questo momento storico in cui imperversano polemiche su cosa sia bello o brutto.

Una concezione che gli è derivata, come spesso ha ammesso, dalla lunga esperienza maturata quale giurato in concorsi di bellezza di cavalli, dove ha imparato che il punteggio più alto spettava all’equino che si avvicinava maggiormente al concetto di morbidezza.

Che cos’è dunque l’armonia? È morbidezza espressiva; una consonanza di voci che ci hanno indotto a valutare antropologicamente nel suo insieme, il quadro e la cornice.

Sembra banale a dirsi, eppure non è così. L’Arte distingue e valorizza, seguendo contemporaneamente il metodo della linea e del quadrato con le sue regole, diverse e scomposte realtà, pur sempre valide. L’Arte valorizza dunque la diversità.

“Ciò che fa di un’opera d’arte, un’ opera d’arte è la densità della sua ambiguità”, ed è poesia non replicabile…non la perfezione dunque, parafrasando l’affermazione di Daverio.

Il mondo va letto secondo volontà di rappresentazione, come sosteneva Arthur Schopenhauer. “Davanti a un’opera d’arte bisogna comportarsi come di fronte a un principe, e mai prendere la parola per primi. Altrimenti, si rischia di sentire soltanto la propria voce”.

Philippe sperava in un contesto che comprendesse questo, che andasse oltre l’ovvietá predisponendosi a fermarsi e guardare ‘ad intra’, comprendendo i meccanismi emozionali delle cose. Lo faceva inserendo nelle sue argomentazioni digressioni storico-culturali, per formare l’ascoltatore incuriosendolo, tra una battuta ed un sorriso, come suo solito.

La statura introspettiva e intellettiva di questo gigante, rispetto al caos culturale che ahinoi impera, fa di Philippe uno dei più autorevoli esponenti della divulgazione culturale contemporanea, nonostante sia stato spesso stigmatizzato per alcune sue affermazioni.

Leggere l’anima in tutte le forme non è privilegio di molti. Daverio ci è riuscito e noi siamo lieti di aver sfogliato insieme a lui per un po’, il libro della conoscenza.


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Pina Stendardo

Giornalista freelance presso diverse testate, insegue la cultura come meta a cui ambire, la scrittura come strumento di conoscenza e introspezione. Si occupa di volontariato. Estroversa e sognatrice, crede negli ideali che danno forma al sociale.