Intervista – Chiara Tortorelli su ‘Storia pettegola di Napoli’: “Le vicende che non si raccontano costruiscono la storia emotiva della città”
Napoli, 3 gen. – E’ un lavoro di ricerca, aneddoti ed approfondimenti, ‘Storia pettegola di Napoli’, l’ultimo libro di Chiara Tortorelli, edito da Newton Compton. Rappresenta una dedica a Napoli che riscopre il suo volto attraverso vissuti e personaggi che dai primi anni del Novecento hanno traghettato la città verso un rinnovamento culturale intriso di passione per la vita e per la città. A dimostrarlo chiaramente nel suo progetto di scrittura è la Tortorelli, giornalista e scrittrice che questa volta sceglie di abbandonare il genere del romanzo per donare ai lettori una summa sulla città di Partenope, descritta come sirena in attesa del viandante, del cantore e del predatore catturato da un grembo ancora avido, da nutrire e custodire.
Il lettore che si approccia a queste pagine scopre tutta l’identità partenopea e la rafforza, arrivando alla fine del libro con un orgoglio cotonato di fierezza. La città si sveste attraverso le storie mai rivelate dei suoi grandi rappresentanti; passano come pettegolezzi tra le orecchie della gente, ma in realtà sono frammenti importanti che levigano le rughe di una metropoli antica e futuristica allo stesso tempo, in cui la scrittrice tra chiacchiere, voci e dicerie, ci lascia compiere una piacevole passeggiata in una città che ha sedotto e seduce ancora.
Sotto i riflettori della Napoli pettegola arrivano dunque Matilde Serao, Giovanni Scarfoglio e Gabrielle Bessarde con il loro triangolo d’amore; Benedetto Croce, Marinetti, Lenuccia, eroina della Resistenza napoletana, fino a noti personaggi del cinema come Totò o icone del calcio come Maradona.
Nella lunga galleria di ritratti e pettegolezzi, le storie si legano ai luoghi della città e diventano guida alla riscoperta di meraviglie intrise di passioni e cultura popolare partenopea.
Arguto, piacevole ed edificante, ‘Storia pettegola di Napoli’ disegna una cartina emotiva della napoletanità intelligente, vulcanica ed evoluzionistica come ci rivela Chiara Tortorelli in questa intervista.
– Uno scrittore è come un grande pettegolo che rivela i segreti in modo professionale. Quali antri nascosti di Napoli e dei suoi abitanti ha inteso svelare e perché ha scelto di iniziare a pettegolare proprio da Matilde Serao?
Mi sono divertita a realizzare questa commistione tra immaginato e reale in ‘Storia pettegola di Napoli’. Con essa volevo restituire un volto positivo e nutritivo di come vedo la città. Il mio è stato un percorso nel raccontare il Novecento napoletano. Sono partita da fine Ottocento ed ho scelto in qualità di giornalista e scrittrice di soffermarmi su Matilde Serao perchè la storia della coppia Serao-Scarfoglio ha dato vita al giornale della città, che ancora oggi la racconta. Matilde Sereao è stata una donna particolare per i tempi che ha vissuto, in quanto senza essere femminista, ha portato avanti dei valori costruttivi per la donna. La modernità del rapporto tra Scarfoglio e la Serao mi ha colpita e dunque ho inteso evidenziare la sua attrazione con il ventre della città, il maternage della Serao con Napoli, che cammina in parallelo con la maternità che la donna offre anche alla figlia di Scarfoglio, frutto di un tradimento, da leggere come amore viscerale per tutto ciò che è vita nonostante le difficoltà.
– Si dice che tanto si può apprendere di un uomo dalla donna che ha amato. Come si coniuga questa affermazione con la vita di Benedetto Croce, altro protagonista del suo libro?
Angelina e Benedetto Croce si sono incontrati con un vissuto comune che li univa: il dolore dell’infanzia. Croce aveva perso nell’infanzia tutta la famiglia in un terremoto ischitano, mentre Angelina era rimasta orfana. I due si sono incontrati sulla base di questo dolore ed hanno costruito un rapporto molto forte che Benedetto ha sempre tenuto riservato. Ho sempre pensato che Croce non abbia sposato Angelina per fare in modo che la donna nutrisse la sua parte privata, anche se poi lei era molto presente nelle amicizie di Benedetto. Angelina è stata il nume tutelare di Croce.
– Napoli è una sirena che si sveste attraverso le sue pagine in cui traccia, tra le righe, la vocazione di città del futuro. A tal proposito cosa pensa della nostra città che è manifesto del futurismo da sempre?
Napoli è sempre stata all’avanguardia proprio per la sua capacità di svelarsi ed essere città vera. Questa è una forza, perchè solo se hai una connessione profonda con una radice di verità, puoi sperimentare una nuova visione, senza essere sterilmente imitativo. Da questo punto di vista credo che la città possa fare da battistrada ad un nuovo modo di essere e di vivere nel mondo. Stiamo smarrendo un po’ i confini, entrando in una dimensione in cui il rapporto virtuale è più importante di quello reale; per questo reputo che Napoli possa essere apripista ad un modo di essere che recupera la tradizione e il valore corporeo del contatto, perchè la città è ventre di madre che vive di ricerca ed abbracci e mai di virtualità.
– Anche i luoghi hanno memoria e lei chiaramente lo rivendica invitandoci ad una tale presa di consapevolezza. Tra resistenza ed incanto, cosa ci insegnano le storie da lei raccontate in Storie pettegola di Napoli?
Il filo conduttore che volevo riprendere era l’amore. Per me il pettegolezzo non è il discorso delle male lingue, come normalmente lo intendiamo, ma è la storia della voce orale, le vicende che non si raccontano ma costruiscono la vita emotiva dei personaggi. Ho inteso parlare d’amore anche per restituirne a Napoli il vero senso, perchè noi abbiamo un’idea dell’amore un po’ banalizzato rispetto alla città. La identifichiamo con le immagini steriotipate, invece ho inteso raccontare una sfumatura particolare dell’amore: quella di vivere la realtà per quello che è, nel presente, senza costruirsi aspettative, riuscendo ad esserci nelle storie, nei luoghi e nelle situazioni, con un cuore aperto che rappresenta la ricchezza del popolo napoletano e della città.
– Nella descrizione dei volti intramontabili della città, c’è più nostalgia per un passato artistico che sicuramente ci inorgoglisce oppure voglia di credere in un riscatto culturale che ieri come oggi deve passare attraverso il cinema ed il teatro?
Ho cercato le radici dell’autenticità nel mio libro, per cui penso che ci debba essere la radice del riscatto che passa anche per il cinema ed il teatro. Mi interessa che la città debba trovare le sue radici autentiche, senza cercare un’imitazione sterile di altre realtà. Ogni grande autore che ha raccontato Napoli ha sempre visto la sua particolarità come il suo essere una città a sè: nel mondo, ma contemporaneamente fuori dal mondo, costituendo un universo tutto suo.
– Ha raccontato tante storie nel suo libro. A quale si è affezionata maggiormente e perché?
Sono molto legata alla storia di Annamaria Ortese ed Adriana Capozzi Belmonte, innanzitutto perchè è una storia speculare bellissima. Racconta poi il complesso rapporto tra due donne molto amiche, fondato su un grandissimo amore, ma anche su una sottile rivalità. Il loro è un continuo ritornare poi sulle potenzialità che l’una vede nell’altra. Il senso è che questo legame ci rimanda alla parte di noi che ancora è ignota, ma ricerchiamo di continuo per sentirci compensati. Il legame di ciascuno con la città dovrebbe essere percepito in tal senso.
– Leggendola inevitabilmente si rinsalda la propria identità partenopea. Potendo definirla in tre parole, per quali propenderebbe e perché? Qual è la filosofia che sigilla tutto il senso di questo libro?
Emozione, sentimento e capacità di vivere il carpe diem in senso prolifico. Sono tutti ingredienti che accomunano i personaggi del libro e ci insegnano a godere e vivere il presente della città, per poi ragionare su un futuro costruttivo.
La parte finale del libro non a caso è affidata a Luciano De Crescenzo. Napoli ci insegna a guardare l’orizzonte per aprirci al diverso, al nuovo, mantenendo sempre aperta la porta all’altro, alla comunità.
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