Teatro

INTERVISTA- ‘Figlie di Eva’, la Repubblica delle donne a teatro con Michela Andreozzi, Maria Grazia Cucinotta e Vittoria Belvedere

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Acerra, 2 mar. – Un acronimo per raccontare la storia di tre donne. Così nasce EVA, la sintesi delle personalità di Elvira, Victoria e Antonia. Anzi, così sorge il nuovo partito ‘Figlie di Eva’, da cui il titolo dello spettacolo, che rappresenta la voglia di rimettersi in gioco in politica di Maria Grazia Cucinotta (Vicky), Elvira (Michela Andreozzi) e Antonia (Vittoria Belvedere), dopo aver tentato il suicidio a causa dello stesso uomo, opportunista ed arcigno.

Lui, il marito di Vicky, il capo di Elvira e il padre dell’alunno della supplente Antonia, è la nemesi di tre signore che pur avendo tutte le carte giuste per potersi autorappresentare, si nascondono dietro la figura di un uomo di potere, la cui fama è stata costruita dalla forza delle tre donne.

Abituate a star dietro agli uomini, a causa dei pregiudizi sul gentil sesso, dopo la rovina dell’anima decidono di allearsi contro lo stesso   carnefice, costruendo a regola d’arte l’uomo perfetto, interpretato da Marco Zingaro.

’Una per tutte, tutte per una…e per tutte’, è il motto che campeggia per l’intero spettacolo, giunto alla seconda stagione di repliche.

La pink comedy scritta da Michela Andreozzi, Vincenzo Alfieri, Grazia Giardiello, e diretta da Massimiliano Vado, esalta il potenziale del popolo rosa, insieme alla capacità di riscatto del gentil sesso, capace di risorgere dalle proprie ceneri, proprio come l’araba fenice.

Tra palco e realtà le tre attrici in scena al Teatro Italia di Acerra, raccontano a fine stagione le emozioni di uno spettacolo tutto al femminile.

– Michela, le donne rientrano nella sua scrittura teatrale e cinematografica. Indagare su di loro le risulta semplice o complesso, alla luce dei tempi moderni?

Io una donna la abito, per cui per me è abbastanza naturale. Da quando ho deciso di fare questo mestiere, soprattutto ultimamente, le donne cominciano ad essere un tema condiviso, indipendentemente dal genere. Ritengo che ci siano tante cose da dire sulle donne, perché sono ancora un continente inesplorato dai tempi moderni. Ritengo che abbiamo fatto un gran passo indietro, se pensiamo che negli anni Settanta-Ottanta c’erano Lidia Ravera, Dacia Maraini, Franca Rame…adesso non esiste  niente di tutto questo.

– Nello spettacolo è Elvira che tutto sa, tutto risolve. Quanto questa logica della perfezione oggi diventa un gap di regresso, piuttosto che di progresso?

La logica della perfezione è un’arma a doppio taglio perché dobbiamo dimostrare di valere, facendo il doppio della fatica. Per quanto riguarda il mio personaggio, Elvira nel corso di quest’anno è più cattiva che ligia al dovere. E’ diventata un personaggio più sottile che in qualche modo esercita un potere, senza sapere che lo sta facendo per qualcun altro. Succede molto spesso che le donne che stanno dietro ai grandi uomini, siano donne che credono di contare qualcosa, ma poi portano acqua al mulino per cui lavorano,  non  a se stesse.

– Figlie di Eva è il titolo dello spettacolo che verrà replicato anche il prossimo anno. Se Eva dovesse oggi abitare un nuovo Eden, che donna potrebbe essere? 

Sarebbe una donna che non rinuncia né alle responsabilità, né alla vanità. Sono una grande fan della vanità. Sono vanitosa e penso che la vanità sia una espressione sociale della femminilità che vada difesa, nel senso che troppo spesso le donne che occupano posti di potere si virilizzano. Entrano alla Camera e improvvisamente si tagliano tutti i capelli, non si truccano molto e non ne vedo il motivo. Spero in un Eden di stanze dei bottoni e tacchi a spillo. Ho visto la vanità salvare delle donne in chemioterapia, perché questa capacità di sentirsi ancora donne, ancora belle, nonostante la malattia, è stato un obiettivo da raggiungere, per cui sono per il valore della femminilità. Immagino un Eden di donne unite e non in antitesi, pronte a formare la Repubblica delle donne.

– Chiudete la stagione in scena al Teatro Italia di Acerra, che è teatro di Pulcinella. Esibirsi in questa terra e al Sud, che energia conferisce?

Da Roma in giù fare teatro è difficilissimo, perché il pubblico del sud è sei volte più esigente. E’ un pubblico talmente ben abituato a Totò, a De Filippo, a Scarpetta, Troisi, Salemme, Buccirosso, da non essere facile per chi non è del sud. Se devi far ridere, devi sudare. Noi ci siamo riuscite, è vero, ma non è stato facile. Dico sempre che siccome al nord nella vita ridono di meno, a teatro ridono di più. II contrario avviene al Sud, dove si ride nella vita di più e ci si può permettere a teatro di fare da spettatori critici, perché c’è una cultura diversa che vede il teatro luogo frequentato alla pari del cinema. Sono figlia di napoletani e la scaltrezza, ma anche la maschera per me è quello che collega questo spettacolo a Pulcinella. I nostri personaggi sono quattro maschere diverse da ciò che sembrano. Pulcinella ci insegna che niente è come sembra e che bisogna sopravvivere.

-Il futuro teatrale che ha nella sua mente e nel suo cuore?

Mi piacerebbe intanto riprendere a fare anche qualcosa da sola in seconda parte di stagione, forse di natura didattica che possa coinvolgere anche i ragazzi. Con questo spettacolo invece, vorremo continuare a fare compagnia.

– Vittoria, lei è il personaggio più dicotomico nello spettacolo. Tiene a bada la sua personalità e la sindrome di Tourette, finché ad un certo punto, pian piano viene fuori. Quanta fatica le costa in scena modulare il suo ruolo?

La mia Antonia per questo problema fisico che ha, passa la vita a dover controllare le emozioni, per cui vorrebbe essere normale, ma purtroppo non lo è. Già ha una vita faticosa, in più vive perennemente sotto ricatto del marito di Viky. In realtà attraverso Elvira e Viky trova la forza per affrontare tutti i pregiudizi che ha dovuto sopportare nel tempo. Ha un riscatto per quanto riguarda la sua professionalità, il suo essere donna e persona normale. E’ grazie alla forza delle donne che il mio personaggio gestisce la sua impresa evolutiva. Ancora oggi purtroppo viviamo insofferenza con le colleghe e non si riesce mai a guardare nel proprio orto, scrollandosi di dosso i pregiudizi con la faccia tosta di andare avanti per quel che si è. Figlie di Eva è un invito all’unione in ogni senso.

– Lei è la donna di cultura dello spettacolo, interpretando una professoressa di latino. Quanto la cultura spesso ci rende vittime e carnefici delle nostre esigenze?

Credo che già come sesso femminile un po’ incutiamo paura agli uomini in generale. Il fatto poi di arrivare con un bagaglio culturale ancora più importante del loro, è notevole. Penso che alla fine la semplicità sia la vera arma in più che risponde alle nostre esigenze.

– Sensibilità, ragione ed empatia. Nel teatro come le riesce a mescolare?

E’ un cocktail esplosivo. Ciascuna caratteristica ti dà la possibilità di creare, di mostrare quello che sai fare, rendendo grande il personaggio che porti in scena. Servono tutti questi ingredienti. Il teatro poi mi dà ancora l’adrenalina del primo esame. Per me è sempre un dover dimostrare agli altri cosa posso restituire; è stimolante perché è vita. Il cinema, la televisione ti danno la notorietà; il teatro invece è una performance in cui ci sei totalmente e diventi di volta in volta diverso ogni sera che sei in scena. Figlie di Eva dunque mi lascia una grande amicizia con le colleghe ed una conoscenza più profonda delle donne.

– Maria Grazia, lei è l’immagine dell’Italia e il simbolo della femminilità nostrana. In scena è una moglie bella, ma poco consapevole. Alla fine dello spettacolo quante donne la avvicinano?

Il mio ruolo è particolare. Interpreto una donna svampita, viziata, in cui poche si riconoscono… anzi sono quelle che tieni a distanza perché forse ti stanno anche un po’ antipatiche. Realmente Viky è una donna che vive in una realtà diversa dalla vita di tutti i giorni e si ritrova ad affrontare il primo problema rappresentato dai tradimenti del marito. La situazione scenica abbatte il pregiudizio perché è lei la miliardaria usata dal marito per far carriera. E’ una donna surreale, che arriva dopo su ciò che accade perché vive in una bolla dorata fatta di shopping. Poi cambia quando viene tradita con una donna di vent’anni più giovane di lei. Si accorge che i pregiudizi si vincono con i fatti e col dialogo. Le donne mi avvicinano sempre per palesare che l’unione fa la forza.

Come ha vissuto la sua esperienza teatrale al Sud?

E’ la prima volta che faccio teatro. Posso dire che adoro il Sud e che in tutta Italia siamo state accolte con gioia. Questa di Acerra è la 125esima replica. Abbiamo fatto sold out in tutto lo stivale. La cosa bella è veder ridere il pubblico contento. Attraverso le tappe teatrali abbiamo anche cercato di raccontare l’Italia e le sue bellezze, mostrando sui social tutti i luoghi che abbiamo toccato. Certo è che il teatro è faticoso e finchè non lo fai, non lo sai. E’ un mestiere fatto di grandi passioni e sacrifici. Il teatro è veramente passione, mentre il cinema è sì passione, ma è fatto anche di grandi coccole e comodità. Il teatro è ‘Armati e parti’. Anche l’anno prossimo poi sarò Viky in questo spettacolo.

-Marco, lei è l’unico uomo della compagnia. Che idea si è fatto dopo lo spettacolo, del mondo delle donne? 

Mi ritengo fortunato a lavorare con professioniste ben legate tra loro, sia sul palco che fuori. Questo è un vantaggio. Vivo l’incredibile mondo delle donne da vicino. Ho la mia compagna che è cantante, attrice, ballerina e mi rendo conto che spesso le nemiche delle donne sono le donne stesse e che voi avete questo piccolo ostacolo da superare. Credo che questa sia la battaglia maggiore da vincere, insieme alle denunce della condizione femminile che finalmente escono allo scoperto con le denunce. In platea abbiamo incontrato situazioni legate alla tutela della violenza sulle donne, spesso causata anche da donne.

-Cosa le lascia il Teatro Italia di Acerra e Pulcinella che lo simboleggia?

Mi lascia il desiderio di continuare a fare questo lavoro. In teatro devi essere pronto e attento a concentrare tutte le emozioni in modo diretto. Pulcinella poi è la maschera per eccellenza. Ho avuto la fortuna di fare Accademia e abbiamo studiato la maschera e la commedia dell’arte in generale. Nel 2012 mi sono trasferito in Inghilterra ed ho notato che la maggior parte del lavoro fisico della maschera è che attinge dalla vita. Pulcinella insegna la consapevolezza del corpo in un luogo e in un’anima. 

 

 

 


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Pina Stendardo

Giornalista freelance presso diverse testate, insegue la cultura come meta a cui ambire, la scrittura come strumento di conoscenza e introspezione. Si occupa di volontariato. Estroversa e sognatrice, crede negli ideali che danno forma al sociale.