Intervista – ‘Guappo di cartone’, la Compagnia Punto e a Capo avvicina i giovani al teatro di Viviani
Il teatro di Raffaele Viviani è insieme sfida e poesia e la Compagnia Punto e a Caposceglie di attraversarlo portandolo in scena al Teatro Bolivar di Napoli.
Dopo il fortunato esordio del 6 gennaio, questa sera, alle 19.30, si replica con la messa in scena di ‘Guappo di cartone’.
La regia di Pino Mileto, capo comico e direttore della compagnia sopracitata, offre una intensa riproposizione di Viviani, mostrando sul palcoscenico del Bolivar passione, dedizione e volontà di mostrare al pubblico il racconto di una delle più belle penne del teatro partenopeo.
Mileto si differenzia in scena per intensità. Il suo Sanguetta, il Guappo di Cartone, colpito da pentimento e da una volontà di ravvedimento, dopo aver scontato cinque anni di prigionia in un’isola, esce dal “bagno penale” con l’ardire di riscattare il passato. Mileto mostra tutta la malinconia e la lotta interiore del suo personaggio, nel voler apparire sensibilmente mutato; ne incarna la precaria labilità dell’esistenza che fa a singolar tenzone con il desiderio di emanciparsi agli occhi della comunità non come ‘guappo’, ma come uomo.
Nel vicolo in cui si ambienta la scena di Viviani, i giovani della compagnia Punto e a Capo, danno voce con impegno e precisione, a tutta la gente: amici, parenti e curiosi che fanno festa a Sanguetta dopo il suo ritorno dal carcere. Perfettamente calati nei loro personaggi, questi giovani talentuosi omaggiano ed onorano il bel teatro con grande rispetto!
La sinergia della compagnia è ciò che si applaude per la palpabilità della ripercussione in scena di un recitato armonioso, costruito intorno alla vicenda di Sanguetta.
Accolto come un eroe, “il guappo di cartone”, deve sfidare anche l’insistenza di Rachele, la sarta del vicolo che si è innamorata di lui perchè crede Sanguetta abbia schiaffeggiato Aniello Terremoto, temibile malandrino, solo per difenderla.
L’uomo la respinge, così come desidera rimandare indietro i doni con cui la donna ha trasformato il suo basso in un luogo messo a nuovo.
Sceglie di rifiutare il denaro della Napoli che “conta”; rimprovera la madre di essersi quasi prestata a far da ruffiana e dichiara apertamente ai suoi amici che egli non si sente di continuare ad andare per la via della “guapperia”. C’è tanta umanità nella descrizione della prigionia che Sanguetta racconta agli amici e Mileto è in grado di far comprendere ai giovani giunti a teatro, che la strada della giustizia resta sempre la migliore da intraprendere, perchè più serena, anche se a volte tortuosa.
Lo spettacolo è una scommessa vinta insieme agli attori della compagnia nata nel 2014 e composta attualmente da: Pino Mileto, Mauro Abbate, Antonio Saporito, Annamaria Damiano, Marianna Cuomo, Domenica Russo, Domenico Mileto, Mauro Palescandolo, Veronica Notorio, Sergio Bertat, Francesco Paone, Alessio Mileto, Rossella Mauro, Debora Minopoli, Salvatore Mileto, Annamaria Corcione, Daria Cecere. Costumi di Dora Occupato; scene di Michele Napolitano.
L’ INTERVISTA – IL REGISTA E ATTORE PINO MILETO RACCONTA IL SUO GUAPPO DI CARTONE
–Pino, come mai hai scelto di portare in scena Viviani con la sua complessità storico-realistica, dopo lo spettacolo Masaniello che ha ottenuto enorme successo?
Viviani storicamente è un autore poco conosciuto, ma mi ha affascinato molto cimentarmi con la sua prosa. Mi rivedo tanto nei suoi testi e per la prima volta noi come compagnia ci approcciamo a questo commediografo. Guappo di cartone racconta il riscatto di un personaggio che torna dall’isola ma lascia un dubbio amletico dentro di sè a mio avviso. Ciò che mi sono chiesto è se Vincenzo ‘Sanguetta’ lo volesse davvero questo riscatto. Ed è affascinante l’apertura del dialogo interiore del protagonista di Viviani, che lascia allo spettatore interpretare il dubbio intrinseco che porta con sè. L’autore de ‘L’ultimo scugnizzo’, ultimamente è più esplorato e sono stato felice di poter anche io dare il mio contributo alla sua conoscenza.
– Hai curato anche la regia di questo spettacolo oltre ad interpretarne il protagonista. Su cosa hai posto l’accento nel tuo lavoro artigianale?
Ho cercato di lasciare un dubbio nel finale, dove rispetto al testo originale, ho apportato una modifica. Sono andato a recuperarlo da Cicciello, dove probabilmente c’è un ulteriore messaggio di un uomo alla ricerca di un riscatto continuo, sintetizzabile però nella battuta significativa e paradossale del “Tu si’ cuntento? Nun tanto!”. Questo è l’enigma che mi ha lasciato l’interrogativo aperto su Sanguetta e che ho voluto portare al pubblico, ovvero il senso della scelta legato alla felicità, e soprattutto all’appagamento a cui è difficile che ciascuno di noi, ed anche gli eroi di Viviani, riescano a dare risposta.
–Viviani portato tra i giovani e ai giovani. Anche questa è una sfida nella sfida perchè i ragazzi che si approcciano al teatro dovrebbero conoscere un monumento della teatralità napoletana che in realtà è a loro ignota. Che tipo di approccio i giovani della tua compagnia hanno avuto con il testo e cosa credi di avergli insegnato con una tale scelta teatrale?
Si è trattato di una sfida un po’ più difficile perchè giustamente anche per loro, Viviani è poco conosciuto. Oggi si tende a portare in scena un teatro un po’ più di “spicciolata”, più pratico. Anche loro si sono confrontati con quest’opera più di nicchia e più impegnativa, però durante il percorso tutti hanno apprezzato moltissimo Viviani, al punto di chiedermi di portare in scena prossimamente un altro suo capolavoro. Credo che questo lavoro serva a rispolverare la grandezza della nostra tradizione e a renderla da imbattuta ad esplorabile ed esplorata.
–Dietro la scrittura di ogni quadro scenico di Viviani c’è tanta malinconia. Se oggi potessimo traslitterare questo spettacolo ai tempi moderni, che cosa potremmo desumerne?
Vedo il testo molto attuale in una crisi di identità oggi assoluta dei giovani. Viviani ci invita a ritrovare l’identità persa e lo fa in modo transgenerazionale, puntando l’accento sui giovani che devono pensare al futuro.
–Quando hai visto da spettatore per la prima volta uno spettacolo di Viviani?
Ho conosciuto Viviani attraverso ‘L’ultimo scugnizzo’. Affascinato, ho iniziato a compiere una mia ricerca personale sul suo teatro, fino ad approdare a ‘Guappo di Cartone’ che è una delle sue opere meno conosciute ma che credo il pubblico imparerà subito ad amare come è successo a me tanti anni fa, ed ora a tutti i membri della Compagnia della cui reazione allo spettacolo, sono fiero.
–Se potessi prestare la tua di penna a Viviani, per far mettere una ulteriore cesura a questo spettacolo, quale frase gli indicheresti?
Il testo di Viviani è in controtendenza. Se guardiamo la parte femminile attuale in cui esiste un riscatto per prendersi una sua identità giusta, notiamo che nella Napoli storica di questo testo la donna vive in una sorta di sottomissione dell’opinione comune. Ecco, io gli chiederei di rivalutare il femminile in quest’opera dandogli più spazio, svincolandolo dalla realtà dell’epoca.
–Questo spettacolo si inserisce nel tuo lungo iter teatrale in cui hai inteso dare respiro al teatro storico napoletano. A questo punto del percorso della tua Compagnia, quali somme tiri e perchè hai scelto di radicarvi nel ventre di Napoli?
Assolutamente una somma positiva. In otto anni tutti insieme abbiamo compiuto un viaggio culturalmente ed umanamente stupendo diventato famiglia! Dico sempre che non bisogna dimenticare le proprie origini e coscienti e consapevoli del territorio da cui proveniamo, ovvero l’area nord di Napoli, dobbiamo spingere su Napoli e sul suo fermento pera dare voce e non eco a tutta la storia partenopea.
-Il tuo sogno teatrale per il futuro?
Sogno di portare in scena il grande Eduardo De Filippo, ma so che dobbiamo lavorare tanto per essere al passo con la prontezza di spirito della più grande filosofia teatrale napoletana che il mondo ci invidia.
Credits Photo: Arturo Favella
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