21 Novembre 2024
Magazine

INTERVISTA – ‘Il suo nome è Bara’, il ritratto di un uomo integro nell’ultimo libro di Giacomo Pietoso

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Napoli, 29 ott. – Una storia nella storia, partendo dal Burkina Faso (etimologicamente definita terra libera); il racconto di una terra negli occhi di un uomo, Bara, che è un Burkinabé, un uomo integro.

Lo scrittore Giacomo Pietoso scende ancora una volta tra la gente e ci presenta Bara. Ce lo fa incontrare durante un viaggio; ci lascia scrutare la sua storia occhi negli occhi, commozione nella commozione, dando vita al racconto di un uomo che crede nell’integrità morale e nei valori umani da tramandare al prossimo e alla propria famiglia, onestamente.

Una esperienza di immigrazione autentica, con fine didascalico. ‘Il suo nome è Bara’, edito da Manoscritti EBook, in 90 pagine scorrevoli e sentimentalmente accattivanti, presenta la storia antica e moderna del Burkina Faso, terra di origine di Bara, tracciandone la peregrinatio tra riscatto e soprusi, tra giusto e sbagliato, vagliati secondo la regola del bene comune da perseguire.

Bara è un uomo fortunato, a dispetto della sua vicenda e della sua terra di origine. Questa carica di positività risiede nell’etimologia del suo nome: Bara significa appunto “fortunato”. E la buona sorte è quella di essere nato in un continente grande, ma controverso come l’Africa, dove l’odore dei fiori e il calore del sole che si insinua tra gli alberi, si mescola alla estrema povertà e alle morti per fame e sete.

Nonostante ciò  Bara testimonia attraverso la penna di Giacomo Pietoso, il profondo rispetto per Madre Natura, da cui l’uomo può ereditare la scoperta del senso della semplicità.

E parla dunque di speranza e libertà, raccolte in eredità e portate con sé in viaggio verso l’Italia, per dare nuova opportunità ai suoi figli, per farli studiare, liberandoli dal senso di oppressione che la dittatura impone in Africa.

Ci sono tante Afriche da poter raccontare, con tratteggio più buio o più luminoso; quella di Giacomo Pietoso e soprattutto di Bara, è l’Africa che chiede implicitamente: “Aiutateci ad aiutarci”.

– Giacomo, questo ultimo libro è una ennesima storia nata tra la gente. Chi è Bara e come nasce il desiderio di scrivere di lui?

Bara é l’uomo che ho incontrato sul mio cammino e che mi ha spianato letteralmente la strada. La mia cecità è nota, così come la propensione che ho a vivere la mia città e le sue strade. Circa due anni fa, ogni volta che uscivo di casa mi imbattevo in piante strabordanti da una villa, in cui rischiavo perennemente di inciampare, data la mia condizione. Un giorno, esausto, mi recai da un amico per chiedere se mi potesse dare una mano a reciderle e fu lì che mi presentò Bara. L’uomo scuro come la notte, stando a quello che mi raccontano di lui, subito accorse e in pochi minuti mi risolse il problema. Fu così cordiale che immediatamente mi accolse e da quel momento ogni mattina, al mio passaggio per lo stesso tratta di strada, sentivo la sua voce che mi salutava, finché non mi è montato il desiderio di approfondire la sua conoscenza.

Bara è venuto dall’Africa in Italia, per lavorare e far studiare i suoi figli. Prima è giunto a Padova; poi dopo il licenziamento, é arrivato in Campania, ad Acerra, con somma gioia di essere al sud, perché come dice lui “è come sentirsi più vicino casa”.

Nativo del Burkina Faso, ha iniziato a raccontarmi di sé e inevitabilmente della sua terra, della povertà da cui è fuggito e soprattutto della dittatura in cui non vuole che crescano i figli. Libertà è conoscenza; per questo Bara lavora e desidera spendere i suoi soldi solo per far istruire i figli.

– Il tuo è un racconto nel racconto, in cui storia umana e civile si uniscono assumendo anche un fine didascalico. Cosa scopriamo attraverso la lettura sulla cultura del Burkina Faso?

Il Burkina Faso é definito terra libera, secondo l’etimologia della parola e i suoi abitanti sono ‘uomini integri’, ovvero Burkinafé.

Bara mi ha parlato degli aspetti positivi e negativi della sua terra. La cosa a suo dire più bella, é la pioggia, che quando cade fa esalare a piante e fiori tutti i loro profumi; mentre l’aspetto negativo risiede nella estrema povertà. “Ogni giorno vedevo morire sotto i miei occhi donne, uomini, vecchi e bambini, per fame e sete. Cadevano come foglie”, racconta Bara.

Da qui mi ha portato per mano alla scoperta di un altro personaggio significativo per il Burkina Faso: Thomas Sankara, ex presidente e rivoluzionario. Governò per quattro anni a partire dal 1984, dopo un colpo di stato che rovesció la dittatura e attuó la politica dell’uguaglianza, ma fu assassinato da un suo stesso collaboratore.

Nel libro Bara racconta questa pagina di storia civile ad una figura femminile che incontrerá in treno, alla quale aprirà il cuore tra piaghe e malinconie.

Sankara era definito “il presidente povero”, perché attuò la politica della felicità consistente nel badare all’essenziale garantito a tutti: assicuró due pasti al giorno ad ogni cittadino; esigeva che i suoi ministri non viaggiassero mai in prima classe, ma tra la gente comune, vivendo senza privilegi; desiderava che indossassero gli abiti autoctoni, senza occidentalizzarsi. Sostenne una campagna contro il disboscamento perché le piante proteggevano così il territorio dai venti caldi. Diede risalto al settore tessile locale e iniziò ad esportare un prodotto autoctono: il mango, assicurando lavoro e produttività agli abitanti del Burkina Faso. Nel suo ultimo discorso all’Onu, presentó la condizione misera della sua terra e disse appunto: “Aiutateci ad aiutarci”, ovvero non dominateci, ma insegnateci come andare avanti da soli. Decolonizzò la sua terra, garantendo la libertà…quella stessa libertà che Bara ha cercato venendo in Italia.

– La vicenda di Bara ha un risvolto umano importante, tanto che il ricavato di questo libro sarà devoluto allo stesso protagonista della narrazione. Ci racconti i prodromi di questa iniziativa?

I proventi del libro andranno esclusivamente a Bara, affinché lui possa garantire ai suoi tre figli l’istruzione per renderli liberi nella loro terra. “Ci vogliono schiavizzare attraverso l’ignoranza in Africa – mi ripete spesso – per questo quel poco che guadagno è solo per loro”.

Bara taglia siepi e lavora come benzinaio. Non guadagna molto, ma ha enorme dignità e soprattutto rispetto per cose e persone ed io vorrei aiutarlo a preservare questa sua integrità attraverso la scrittura, perché la cultura rende veramente liberi e riscatta.

– Cosa ti ha insegnato Bara e cosa speri di restituire ai lettori?

Bara mi ha insegnato che persone come lui, pur non avendo niente, conservano la voglia di sorridere alla vita. Mi ha dato conferma che è nella semplicità il segreto della felicità e spero che ai lettori arrivi questo: la speranza di rinascere attraverso un sogno, da perseguire con dignità, rimboccandosi le maniche tra mille difficoltà, pur di conservare la propria integrità morale, che resta la più grande conquista.

 

 


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Pina Stendardo

Giornalista freelance presso diverse testate, insegue la cultura come meta a cui ambire, la scrittura come strumento di conoscenza e introspezione. Si occupa di volontariato. Estroversa e sognatrice, crede negli ideali che danno forma al sociale.