Intervista – Luigi De Filippo e l’amore per il teatro. Un premio in suo onore nel desiderio realizzato di Laura Tibaldi
Il palcoscenico è una miriade di mondi in cui si incontrano storie che si uniscono in una magia chiamata teatro. Ne hanno dato piena testimonianza due esperienze di vita: quella di Luigi De Filippo, erede della più celebre famiglia teatrale italiana, e Laura Tibaldi, sua moglie, ora impegnata a tramandare la memoria artistica del marito attraverso iniziative legate all’ambito lavorativo da sempre appartenutogli.
Nel parlare di loro come coppia non si può non evidenziare che le loro esistenze si sono inevitabilmente specchiate e trovate nell’azione del teatro. L’uno attore professionista, carico di tutta la grandezza scenica dei De Filippo, l’altra spettatrice appassionata che proprio recandosi a teatro su invito di una delle più valenti colleghe di Eduardo, ha conosciuto l’uomo della sua vita e la meraviglia di un arte e di un entourage diventato poi famiglia.
Luigi e Laura hanno infatti percorso insieme ben 30 anni di vita e di tournée, restando sempre fianco a fianco, il primo dietro un sipario e la seconda dietro le quinte, vigile nell’osservare ogni battuta o replica teatrale del consorte.
Risulta pertanto autentico e pieno, il ricordo che la signora Tibaldi ci restituisce del marito, a cui ha dedicato quest’anno anche un premio a lui intitolato, il Premio Luigi De Filippo, con l’intento di ribadire il valore del talento e del teatro, a cui Luigi ha dedicato una vita intera come puro atto d’amore.
Il figlio di Peppino, fratello di Eduardo e Titina, ha risposto ad una vocazione familiare che vede nelle scene il respiro vitale in cui l’ossigeno è il pubblico e ciò che un attore riesce a trasmettergli alla fine di ogni interpretazione o sceneggiatura scritta e diretta, è un miracolo. E’ stato interprete fedele ed attento di una tradizione ricca di memorie e dettagli che il mondo intero ci invidia come patrimonio culturale, consapevole che portare il cognome De Filippo fosse vera responsabilità verso Napoli e verso la gente.
Attore di teatro e tv, direttore artistico del Teatro Parioli di Roma, diventato poi Teatro Parioli-Peppino De Filippo, è stato anche scrittore, ma soprattutto guida per tanti giovani attori che hanno calcato con lui le scene e che continuano a tramandarne gli insegnamenti teatrali in una compagnia tutt’ora a lavoro, su volere di Laura Tibaldi che ci racconta l’impegno di tramandare la memoria del marito dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 2018.
L’ INTERVISTA – VI RACCONTO LUIGI DE FILIPPO
– Laura, sua è stata l’idea di creare un premio dedicato a suo marito Luigi De Filippo. Quando ha maturato tale progetto?
Ci ho pensato durante il lockdown che ci ha portato a ricostruire la nostra vita, soprattutto quella di chi vive il mondo dell’arte, che è un lavoro fatto di contatti all’improvviso spariti. Mi sono chiesta cosa avrebbe fatto Luigi. Avrebbe sofferto moltissimo perché per lui il teatro aveva bisogno di essere divulgato. È un mezzo di espressione che non si avvale ad esempio della trasmissione capillare che ha la TV e che per questo viveva un’urgenza. Mi sono interrogata anche su come ci saremmo svegliati dopo il lockdown ed allora ho pensato che non c’era un premio per il teatro intitolato ad un artista. Il modo migliore per tramandare il ricordo di mio marito e la sua identità era quello di farlo anche attraverso un premio alla carriera dato a chi negli anni ha rispettato l’arte dell’attore, nobilitandola con il suo lavoro, proprio come ho fatto sempre Luigi.
– Questa prima edizione ha premiato Ugo Pagliai. Cosa ha in comune questo artista con suo marito?
Mi sembrava giusto dopo un periodo in cui l’arte è stata messa a dura prova, conferire un premio alla carriera a chi ha tanto dato al mondo del cinema e del teatro. Ugo ha recitato con Peppino De Filippo e Lino Capolicchio per la Rai. Ha sempre detto di aver appreso tantissimo da Peppino e che lui gli ha insegnato il valore dell’arte scenica. Questo è rimasto impresso nella mia mente. Quando poi Luigi ha assunto la direzione del Teatro Parioli a Roma, gli arrivò una telefonata di Ugo nel quale si congratulò. So dunque che Luigi avrebbe gradito questa mia scelta di premiarlo. Ugo è un attore bravo, onesto, rispettoso. In questo lo vedo simile a Luigi.
– Il premio Luigi De Filippo é un atto d’amore verso suo marito. Provi a raccontarci qualcosa di lui attraverso il vostro legame. Che percezione aveva negli ultimi anni del teatro italiano?
Con Luigi abbiamo condiviso trent’anni di vita insieme. Siamo stati due persone che hanno sempre parlato tra loro. Negli ultimi tempi della sua vita era molto preoccupato per il teatro; non trovava in esso un rinnovamento valido. Aveva la sensazione che fare un certo tipo di teatro annoiasse la gente. Possedeva la consapevolezza che la gente è abituata ai ritmi serrati della televisione, cambiando canale qualora si annoiasse. A teatro questo non lo puoi fare. Pertanto asseriva che il teatro ti deve rapire e se non lo fa corri il rischio di perdere l’attenzione dello spettatore, innescando una reazione a catena nella platea. Diceva sempre che quando un attore scende dal palcoscenico deve essere soddisfatto che lo spettatore si porti a casa, a braccetto, il personaggio che è stato interpretato. Deve avere la sensazione che quello stesso uomo o donna vissuto a teatro, gli resti dentro per un po’. Chi viene a teatro non deve avere la voglia che lo spettacolo finisca. Per questo è importante oggi ridurre i tempi della messa in scena. Lungimiranza colta anche nelle nostre commedie che non superano i 90 minuti. La mia osservazione è che non c’è più utenza perchè manca un vero ricambio generazionale, in quanto a scuola non viene insegnato un certo tipo di teatro. Il teatro tutto è cultura se veicolato secondo l’età che uno ha. Chi ha esperienza del mondo teatrale deve trovare la strada per far arrivare a teatro i ragazzi.
– Luigi ha sempre descritto il suo teatro come una bottega e mai come una scuola. Quale eredità ha lasciato questa concezione nella compagnia che oggi porta avanti il suo lavoro?
Alcuni attori che sono oggi nella nostra compagnia hanno recitato con lui; altri sono stati inseriti ex novo. Tutti si sono adeguati al modo di fare che aveva Luigi, ovvero ad essere ligi verso i colleghi e questo mestiere. Mio marito aveva sempre l’abitudine di discutere con tutta la compagnia delle decisioni teatrali che intendeva prendere, chiedendo a ciascuno cosa ne pensasse e questa tradizione la osserviamo anche oggi. Gli attori per lui erano compagni e ci si ritrovava molto spesso insieme anche lontano dalle scene. A Natale ad esempio ci si ritrovava tutti a casa nostra e Luigi giocava con loro a Trivial Pursuit! Lui mi ha insegnato a vivere in una famiglia più ampia perchè la compagnia teatrale era casa. Quando c’è la compagnia e non l’attore sul palcoscenico, in termini di affiatamento ed unità, il pubblico se ne accorge perchè si trova davanti uno spettacolo corale. Con Enzo De Caro cerchiamo di restare fedeli a questa visione. Gli attori poi hanno un loro vissuto con mio marito che naturalmente continuano ad usare quando recitano.
– Ha dichiarato che Luigi le ha insegnato a conoscere davvero i Fratelli De Filippo. Cosa può rivelarci che non sappiamo?
Oltre a Luigi, mia suocera mi ha rivelato tanti aneddoti, anche perchè suo fratello era il marito di Titina De Filippo, per cui è capitato che due fratelli De Filippo (Peppino e Titina), fossero legati da un doppio filo parentale, avendo sposato altri due fratelli. Mia suocera mi ha rivelato che ad esempio i De Filippo cambiassero di continuo casa a seconda di dove fossero dislocati i teatri di Roma in cui si doveva lavorare. Mi ha sempre stupito il fatto che i De Filippo avessero fatto tanti traslochi come nessuno mai! Ho appreso ad esempio che le esigenze che spinsero i fratelli a lasciare Napoli, non furono legate alla volontà di andar via dalla città come alcuni pensano. Quando infatti i bombardamenti a Napoli si inasprirono durante la seconda guerra mondiale, la famiglia decise di trasferirsi tutta a Roma, per ragioni di sicurezza. Fino a quel momento mentre i De Filippo erano in tournée, le loro famiglie vivevano a Napoli. Peppino, Eduardo e Titina hanno sempre avuto a cuore la loro città, solo che hanno amato divulgare il pensiero napoletano nel resto dell’Italia e del mondo, per renderlo chiaro e visibile. Luisa invece l’andarono a prendere i figli a Napoli, perchè dopo la morte di Scarpetta fu stabilito che le spettasse una sorta di sussidio che le fu corrisposto solo per due-tre mesi e poi all’improvviso fu lasciata senza nulla. Eduardo, Peppino e Titina subito si precipitarono dalla madre per garantirle una vita dignitosa. Ho appreso che Eduardo soffrì molto per la morte della figlia Luisella, cosa che ebbe conseguenze anche nella gestione dei legami familiari tra fratelli.
– Si racconta sempre di una sottile rivalità tra Eduardo e Peppino, così come i più hanno calcato la mano per costruire questo stesso alone di rivalità tra i loro eredi: Luca e suo marito Luigi. Che rapporto aveva Luigi con lo zio Eduardo e con il cugino Luca?
Alcuni hanno sempre voluto avere una visione separata tra mio marito e Luca, che in realtà non è mai esistita. I due cugini andavano d’accordo. Quando Luca stava male, Luigi gli è stato vicino; si sentivano spesso al telefono. Il peccato è stato che a loro due sia stato riconosciuto meno di ciò che meritavano. Hanno dovuto portare sulle spalle la bellezza, ma anche il peso di appartenere alla più grande famiglia del teatro italiano. Quanto al rapporto con Eduardo, Luigi lo amava, tanto che ha sempre avuto due grandi desideri: quello di mettere in scena Natale in casa Cupiello (rappresentato quando lui era nato) e Il Berretto a Sonagli, perchè era piccolo quando Eduardo lo scrisse ed ha avuto l’opportunità di conoscere Pirandello. Anche se in là con gli anni ha esaudito entrambi i desideri…poi il primo a convocare Luigi sulle scene fu proprio Eduardo!
– Tornando a suo marito nella veste di attore, come era il suo camerino e quali rituali osservava prima di andare in scena?
Il camerino era molto spartano. Aveva una poltrona, la foto della figlia, una nostra e della nipote. Poi c’erano un corno, un ferro di cavallo e tanti appunti su foglietti che io chiamavo “pizzini”, su cui scriveva delle battute che gli venivano in mente. Le parole crociate non mancavano mai. Gli oggetti a lui più cari restavano la poltrona ed il copione con cui doveva andare in scena. Sulla sua poltrona oltre a riposare, amava accomodarsi per accogliere gli attori e parlare con loro al solo scopo di conoscerli meglio.
– Quale massima Luigi ripeteva più spesso?
C’era una frase in napoletano che diceva sempre e che ho scelto come filo conduttore del premio a lui dedicato: “‘Ncoppa ‘e tavule affatate, sulo là se sta felice!” Il teatro per lui era tutto e lo è diventato anche per me, tanto che il prossimo anno continueremo ad andare in scena con la nostra compagnia.
– Cosa le manca di più di suo marito?
Mi manca tornare a casa e chiedergli cosa volesse fare; mi manca non trovarlo e ricevere una telefonata. Però quando ho qualche dubbio continuo a parlargli, quasi per capire come potrebbe reagire se si trovasse al posto mio a prendere una decisione ed inevitabilmente quel che scelgo io è ciò che avrebbe scelto anche lui. La sorte ci ha messo insieme. Sono sempre stata un’amante del teatro, dell’operetta e una delle prime rappresentazioni a cui ho assistito è stato proprio ‘Il Berretto a Sonagli’ di Eduardo, al San Ferdinando, concluso da Eduardo con un’ora magnifica di poesia. Parliamo dello stesso spettacolo che Luigi ha amato moltissimo.
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