22 Dicembre 2024
PoliticaPolitica Interna

Lamorgese: “La redistribuzione dei migranti diventi obbligatoria, non volontaria”

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Dire sì al Mes, spiega Lamorgese, è anche un tema di sicurezza. Intervista al quotidiano Il Foglio

di Cerasa Claudio

Lamorgese: “Cara Europa, niente Recovery ai paesi che non collaborano sui migranti”

Il punto in fondo è tutto lì: in tempi di pandemia, come si fa a governare l’immigrazione senza mettere in contrapposizione sicurezza e umanità? Il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ci ha accolto ieri pomeriggio nel suo ufficio al secondo piano del Viminale e in questa lunga chiacchierata con il Foglio ha accettato di parlare a tutto campo: gli sbarchi a Lampedusa, la gestione del virus, le fughe dei migranti, i deficit dell’Europa, i ritardi del governo, il destino dei decreti sicurezza, le accuse violente dell’opposizione e infine il Mes.

Il ministro ci offre alcune notizie interessanti, una riguarda l’Europa e l’altra riguarda il Mes, ma la nostra chiacchierata, nel giorno in cui il leader dell’opposizione, Matteo Salvini, annuncia di voler “denunciare un governo incapace e pericoloso per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”, non può che partire da lì: dagli sbarchi, dall’immigrazione, da Lampedusa, dalla convivenza fra tutela della salute pubblica e tutela del diritto del mare. “E’ inutile nasconderci: a Lampedusa ci sono problemi che stiamo cercando di risolvere. Non sono problemi legati a un’inefficienza dello stato, ma sono problemi legati a una doppia emergenza: una grave pandemia e un flusso migratorio massiccio che arriva da un paese, come la Tunisia, che sta attraversando mesi di crisi istituzionale. Solo per fissare alcuni numeri: tra i 12 mila arrivi che abbiamo avuto tra luglio e agosto, 6.300 sono i migranti che arrivano dalla Tunisia, per i quali, a partire dal 27 luglio, abbiamo già riavviato le operazioni di rimpatrio con i voli charter: tra luglio e agosto, abbiamo rimandato in Tunisia 394 persone e ogni settimana partono due aerei per rimpatriare 80 tunisini in forza dell’accordo esistente con il governo di Tunisi.

La seconda questione riguarda invece la gestione della pandemia e il problema, è inutile anche qui nasconderlo, riguarda le quarantene obbligatorie per i migranti che sbarcano e, dunque, il reperimento degli spazi necessari per il rispetto del distanziamento in tempi di Covid. Per garantire la sicurezza di tutti, ogni migrante che arriva in Italia viene sottoposto al test del tampone anche grazie a un accordo con la Croce Rossa: i positivi vengono messi sotto stretta vigilanza sanitaria. Al termine della quarantena, poi, si fanno a tutti tamponi in uscita. E’ evidente che, con questi meccanismi necessari per salvaguardare il nostro paese, servono molte strutture che richiedono un inevitabile incremento dei servizi di vigilanza. Per questo motivo la presenza di militari in Sicilia, in supporto alle forze di polizia, a oggi supera le 900 unità. Proprio per usufruire di spazi sicuri anche per la sicurezza dei cittadini, stiamo noleggiando alcuni traghetti che ci consentono di isolare adeguatamente, in zone distinte e separate, gli eventuali positivi. Attualmente sono in servizio tre navi-quarantena che diventeranno cinque già da venerdì. Sono convinta che in questo modo sarà più semplice tutelare tre principi non negoziabili: sicurezza, salute e umanità”.

Quanti sono stati finora i migranti risultati positivi? “Dal 1° giugno al 26 agosto sono stati effettuati 6.371 tamponi ai migranti sbarcati in Sicilia, per una percentuale di positivi pari al 3,98 per cento”. E come vanno i ricollocamenti in Europa? “Questo è un punto chiave nella gestione del fenomeno migratorio”. Il punto chiave, naturalmente, ha a che fare con le conseguenze dell’accordo di Malta. Un anno dopo quell’accordo la domanda sorge spontanea: possiamo ritenerci soddisfatti? Il ministro si fa serio e, dopo aver snocciolato qualche numero, offre il suo ragionamento. “I numeri possono dire poco ma, mai come oggi, sono molto importanti perché ci indicano un cambio di direzione. Da settembre 2019 a oggi, i trasferiti in undici paesi che hanno aderito al meccanismo di ridistribuzione volontaria definito a Malta sono stati 689: 369 sono andati in Francia e 238 in Germania. Di questi, 500 prima del lockdown e 189 dopo. In totale, le quote offerte dagli undici paesi volenterosi sono 1.737, di cui 1.242 dopo il vertice di Malta del 23 settembre 2019”. Si pub fare di più, no? “Certo che si pub fare di più. Ma quell’accordo è stato un punto di svolta: chi arriva in Italia, non arriva più solo nel nostro paese ma in Europa. E mi aspetto che ora a Bruxelles quel testo possa avere il seguito che merita”. Già, ma come? La Commissione europea, entro il mese, presenterà il suo patto sull’immigrazione e sull’asilo e questa sarà l’occasione per testare la reale volontà dell’Europa di trasformare la solidarietà oggi solo di alcuni paesi in una misura strutturale e non su base volontaria. Chiediamo al ministro: cosa si aspetta dalla Commissione? “Mi aspetto molto. Auspico fortemente che si riparta dall’accordo di Malta. Mi auguro che non vi sia alcun passo indietro e, anzi, si compia un passo in avanti. La grande novità di Malta, è bene ribadirlo, consiste nel fatto che il paese che accetta la ricollocazione è chiamato poi ad occuparsi di tutta la procedura del riconoscimento della protezione internazionale e, eventualmente, qualora non ci fossero i presupposti, anche del rimpatrio. E mi aspetto, dunque, che vi sia un sistema di ricollocazione non più su base volontaria ma su base obbligatoria”. Obbligatoria, abbiamo sentito bene? “Obbligatoria. So che i paesi del blocco Visegrád hanno una posizione molto diversa. Ma l’Unione europea è entrata in una stagione di grandi svolte. E mai come oggi è necessario dimostrare, a tutto campo, che la solidità del progetto europeo passa da una maggiore responsabilizzazione dei suoi partner. E le responsabilità non possono essere solo di natura economica”.

Facciamo notare al ministro Lamorgese che il ministro per gli Affari europei della Francia, Clément Beaune, ha dichiarato recentemente che i governi dell’Ue che minano alcuni i diritti fondamentali dovrebbero essere soggetti a sanzioni finanziarie tali da rendere più difficile l’accesso a meccanismi come il Recovery fund. “E io penso che sia un’idea da non sottovalutare. E ritengo che passare dall’approccio volontario all’approccio obbligatorio significhi anche questo: accettare che vi siano sanzioni per chi non rispetta gli accordi. Se vogliamo un’Europa integrata, dobbiamo partire da qui”. Ci spiega cosa pensa il ministro Lamorgese quando viene accusata, anche da alcuni esponenti della sua maggioranza, di comportarsi come si comportava il suo predecessore, Matteo Salvini, di fronte alle richieste di porto sicuro che arrivano dalle imbarcazioni cariche di migranti che si trovano al largo dell’Italia? “Non voglio fare inutili polemiche, non è mia abitudine. Però dobbiamo fare chiarezza: il fenomeno migratorio al quale stiamo assistendo riguarda per la gran parte i barchini autonomi che ci sono sempre stati e che sono difficili da fermare se non intervenendo sui paesi di partenza. Per quel che riguarda l’assistenza dei migranti salvati in mare, è falso affermare che le cose non sono cambiate. Un tempo, veniva messa in discussione la possibilità di offrire un porto sicuro a queste operazioni di Search and Rescue. Da un anno, questo non accade più. Il porto sicuro viene indicato nel momento in cui c’è la certezza che vi siano tutte le condizioni per poter autorizzare lo sbarco in sicurezza: strutture idonee, capacità dell’accoglienza, precauzioni sanitarie, che oggi vengono garantite dal trasbordo sulle navi quarantena. Non pretendiamo di fermare un fenomeno complesso come l’immigrazione, come voleva fare utopisticamente qualcuno. Semplicemente cerchiamo di governarlo, affrontando tutte le difficoltà del caso”.

La nostra chiacchierata con il ministro Lamorgese scivola via veloce e a poco a poco si passa da ciò che potrebbe fare l’Europa per noi a ciò che potrebbe fare l’Italia per se stessa. E nel caso specifico il punto centrale è uno e sempre uno: il governo Conte cambierà o no i decreti sicurezza firmati durante il governo gialloverde? “Ne dobbiamo proprio parlare?”. Ministro… “Vorrei evitare di parlare di un argomento estremamente sensibile”. Ministro… “Qui al Viminale, con le forze di maggioranza, abbiamo lavorato su un testo che è stato inviato a Palazzo Chigi e che verrà valutato dal Consiglio dei ministri. Posso dire che credo fermamente in una svolta sul sistema di accoglienza e sulla protezione umanitaria. I decreti immigrazione, firmati dal mio predecessore, finora non sono mai stati usati da questo governo e non abbiamo neppure intenzione di farlo. Aggiungo che i rilievi a suo tempo mossi dal presidente della Repubblica ai tempi dell’approvazione di quelle leggi sono stati accolti. Inoltre, vorrei ricordare che tutte le norme sulla sicurezza inserite in quei testi anche su proposta del Viminale non sono state modificate”. Con che tempi? “Io sono un tecnico, non un politico. Il testo c’è, la maggioranza lo discuterà al momento che riterrà più opportuno”.

Ministro, le leggo due frasi che la metteranno di buon umore. “Prego”. “Anziché bloccare l’immigrazione clandestina il governo continua a varare navi quarantena per migranti a spese degli italiani. Quante altre navi dovranno affittare prima di capire quanto sia folle affrontare così la gestione dei flussi immigratori? Basta sbarchi e basta morti in mare!”. Pausa. Ministro, sa di chi è? “So di chi è”. E cosa ne pensa? “Penso che un paese civile non pub mettere in contrapposizione umanità e sicurezza e ritengo che neppure in una stagione pandemica sia possibile aderire a una logica del respingimento tanto più a una frontiera marittima. L’immigrazione si governa, chi non la vuole governare e pretende di fermarla finisce per non occuparsi del problema. E le navi a cui si riferisce l’esponente politico da lei citato non servono ad attrarre migranti ma piuttosto, a risolvere un problema di sicurezza sanitaria anche a tutela dei cittadini italiani e siciliani in particolare”.

Ministro, le leggo un’altra frase: “Il governo sta semplificando la vita degli scafisti. Questo è favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e quindi il ministro Luciana Lamorgese è una criminale che dovrà essere processata democraticamente dagli italiani quando torneranno a votare”. Sa di chi è? “So di chi è”. E cosa ne pensa? “Dico che ricorrere a tali parole, profondamente offensive anche per tutta l’amministrazione dell’Interno, denota assenza del doveroso rispetto per un’istituzione che l’autore conosce bene. E onestamente non ritengo di dover perdere tempo con chi usa frasi del genere (la seconda frase è di Matteo Salvini, la prima di Giorgia Meloni, ndr). E aggiungo che strumentalizzare il tema dell’immigrazione per scopi propagandistici è semplicemente da irresponsabili. Io sono un tecnico, ripeto, e il mio compito non è polemizzare ma individuare soluzioni idonee a problemi complessi. E i problemi si affrontano così: aumentando le energie laddove vi sono delle sofferenze, garantendo la sicurezza del paese senza mai sottrarsi al rispetto e agli obblighi dei trattati internazionali, provando a trasformare la solidarietà dell’Europa in un’opportunità da sfruttare per superare la stagione degli egoismi nazionali”. Ministro, è un governo maturo quello che si divide sui temi legati ai rinnovi dei servizi segreti? “Sui temi della sicurezza nazionale le divisioni andrebbero sempre evitate. Serve compattezza. E alla fine la compattezza c’è stata: il governo ha fatto bene a mettere la fiducia sulla proroga dei vertici dell’intelligence”. La nostra conversazione con il ministro volge al termine e prima di congedarci da Luciana Lamorgese poniamo due domande che in qualche modo riguardano entrambe i temi della sicurezza. La prima domanda riguarda la situazione di un palazzo che si trova a poche centinaia di metri dal Viminale, ovvero CasaPound, e al ministro chiediamo se il decreto di sgombero verrà davvero portato fino in fondo oppure no. “Non è un problema di se, è un problema di quando. La prefettura di Roma ha redatto un elenco di immobili occupati da sgomberare secondo criteri oggettivi. Anche con CasaPound si procederà con lo sgombero”. La seconda domanda riguarda un tema più delicato e più importante che ha a che fare con un dossier che non è estraneo alla sicurezza del paese. Nel corso della nostra chiacchierata, il ministro ha detto più volte che “compito della politica oggi è quello di evitare che una pur comprensibile rabbia sociale possa trasformarsi in una situazione di conflitto sul territorio”. Il ministro, giustamente, sostiene che la rabbia sociale venga alimentata “non solo da chi specula in modo propagandistico sui problemi ma anche da chi nega che alcuni problemi esistano, e dire che l’immigrazione va solo accettata significa negare che l’immigrazione si porti con sé problemi che vanno risolti”. Ma a questo elemento di riflessione il ministro aggiunge un dettaglio in più, per nulla scontato. Chiediamo al ministro: dato che mai come oggi la difesa della sicurezza è legata come non mai alla difesa del nostro sistema sanitario, non pensa che rafforzare il sistema sanitario con tutti i mezzi disponibili, compresa la linea di credito per le spese sanitarie previste dal Mes, sia un modo anche per prevenire la rabbia sociale? Il ministro non tentenna: “Penso assolutamente di sì e penso che tutto cib che pub aiutare il nostro sistema sanitario a essere ancora più forte vada accolto e utilizzato come si deve. E per quanto mi riguarda, avere un sistema sanitario ancora più forte significa avere un paese che sceglie di mettersi al sicuro prendendosi ogni giorno un po’ più cura di se stesso”.


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