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Magistratura e “caso Palamara”. Intervista con Carlo Vulpio, giornalista e scrittore

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Anna Tortora

Sembra lontanissimo lo scandalo del CSM e il famoso libro di Luca Palamara, invece sono passati neanche due anni. Cosa è cambiato? Ne parlo con Carlo Vulpio, per la mia rubrica IL Personaggio.

Magistratura. A detta di qualcuno è un “potere marcio”. Dal caso Palamara cosa è venuto fuori?
“Un potere è “marcio” non perché, o non soltanto perché, detenuto da una maggioranza di corrotti. Lo è anche quando “tecnicamente” funziona in maniera “marcia”, cioè esattamente al contrario di come dovrebbe. E in questo senso la magistratura è un potere tecnicamente marcio, al punto che, come diceva il grande Mauro Mellini, non ha più senso parlare di toghe rosse, azzurre o nere, ma è più aderente alla realtà parlare di un partito unico dei magistrati, una ultracasta, come l’ha definita con felice espressione il giornalista Stefano Livadiotti.
Dal caso Palamara, dunque, non è venuto fuori nulla che già non si sapesse: una fogna, un sistema marcio che funziona come una cupola in cui i clan (le correnti) si alleano, si scannano, si rialleano e tornano a scannarsi. Solo che apprendere tutto questo dalle intercettazioni fa un altro effetto. E lo dice uno come il sottoscritto, che ha recentemente vinto in giudizio contro due potentissimi magistrati come Giuseppe Cascini e lo stesso Luca Palamara, fino a qualche tempo fa il Castore e il Polluce, i dioscuri del Csm e dell’Anm, cioè della magistratura associata, “terzo potere” dello Stato.
Con questi due signori ho vinto i miei processi (per il solito reato di diffamazione a mezzo stampa) solo di recente, dopo dodici anni, e solo in Cassazione e in Appello, perché i giudizi nelle corti di merito di mezza Italia li avevo persi tutti, ed è facile capire perché. Ho anche dovuto risarcirli, rispettivamente, con 25 mila euro e 15 mila euro. Soldi che poi mi sono stati restituiti, ma alla fine di un lungo calvario e solo dopo lo sputtanamento delle intercettazioni pubblicate da La Verità.”

Già la magistratura: come eludere un tale argomento dalla politica oggi in Italia?
“E infatti sarebbe un tema ineludibile, se la politica (o quel che ne resta) non temesse la magistratura. Ma per non temerla, la politica dovrebbe essere “migliore” della magistratura. Però non lo è. E la magistratura, che è più compatta anche per il semplice fatto che i magistrati non devono sottoporsi a elezioni, appena la politica si muove in una qualche direzione riformatrice, la sbrana. Naturalmente, questo discorso non vale per i magistrati che fanno davvero i magistrati. Ma costoro sono pochissimi. E soli. E appena cantano “fuori dal coro” vengono sbranati anche loro.”

Da quanto sappiamo, la corruzione non è un fenomeno esclusivo dell’Italia. Ma qual è la specificità che ha innescato la “reazione” di Palamara?
“Corruzione e malgoverno sono caratteristiche di ogni regime e di ogni epoca. E certamente si possono avversare e combattere, facendo in modo che restino fisiologia e non diventino patologia cronica. Qui, invece, oltre che di fronte alla patologia cronica, siamo di fronte, appunto, a un potere “marcio” che non emenda sé stesso e anzi si ripropone e si riproduce in maniera sempre più simile a una metastasi.
La reazione di Palamara, che parla di “sistema”, è tuttavia la reazione di uno che è stato fatto fuori dal proprio “ordine sacerdotale”, dalla sua stessa “ultracasta”. Se permetti una autocitazione, usavo questo termine e parlavo di tutte queste cose – senza intercettazioni di conversazioni oscene tra magistrati – già nel 2008, nel mio libro “Roba Nostra” (IlSaggiatore). Questo per dire che se, da un lato, è troppo comodo far pagare a Palamara il conto generale di un potere “marcio”, dall’altro lato egli è, secondo me, un po’ il Buscetta della magistratura, cioè un “pentito” che, a puntate, racconta cose e lancia messaggi, ma che resta sempre un appartenente a quell’ordine religioso, a quella setta, a quel sinedrio, a quel clan.”

Come è potuto accadere che una corporazione come la magistratura si sia così incartata?
“Già per il fatto stesso di essere e di agire come “corporazione”, come tu correttamente la definisci, è inevitabile che “si incarti”. Tanto più che la magistratura oltre che essere un “ordine”, esercita il potere giudiziario, cioè uno dei tre poteri, insieme con il legislativo e l’esecutivo, che caratterizzano lo Stato di diritto. E tuttavia sembra che nulla la sfiori. Non l’irrinunciabile tema della separazione delle carriere tra pm e giudici: separazione, che, ricordiamolo, volevano anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Non il tema della responsabilità civile, votata con larghissima maggioranza dagli italiani in un referendum del 1987 (!) e lasciato lettera morta. E nemmeno l’irrinunciabile sistema di sorteggio per l’elezione dei membri del Consiglio superiore della magistratura, che metterebbe fine allo squallore di “elezioni” in cui le correnti, o clan che dir si voglia, si affrontano con i coltelli tra i denti (e sotto i tavoli). Pensa che per le prossime elezioni del Csm la “renovatio” consiste in questo: 87 candidati per 20 posti e sistema elettorale misto, un po’ maggioritario e un po’ proporzionale.
Quando invece basterebbe utilizzare l’antico, e quindi modernissimo, sistema di elezione dei Dogi della Serenissima nel Duecento: una serie di sorteggi “mirati” che evitavano o limitavano fortemente giochi di clan ed erano finalizzati a eleggere un Doge che non fosse né un imbecille, né un assetato di potere pronto a glorificare e a riprodurre il sistema.”

Ringrazio Carlo Vulpio per la piacevole conversazione.


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Anna Tortora

Nata a Nola. Si è laureata alla Pontificia facoltà teologica dell'Italia meridionale. Le sue passioni sono la politica, la buona tavola, il mare e la moda. Accanita lettrice, fervente cattolica e tifosa del Milan.