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Maradona e Messi. Il paragone artificiale

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di Luca Muratgia.

Il mondiale Qatar 2022 volge ormai al termine e domenica andrà in scena la finale tra Argentina e Francia che si contenderanno il titolo di campione del mondo.
Entrambe le squadre pervengono a detta finale attraverso un percorso non semplicissimo ma che hanno comunque conseguito annoverando, tra le proprie fila, i due giocatori che, in questo momento storico, vengono considerati come i due giocatori più forti al mondo, Mbappe e Messi. In verità ci troviamo dinanzi a due fuoriclasse in momenti della loro carriera molto diversi, Mbappe è il volto nuovo o quasi del calcio mondiale e ha davanti a se una carriera ancora lunga durante la quale potrà migliorarsi e maturare. Messi invece si trova letteralmente all’ultima spiaggia; come lui stesso ha dichiarato in conferenza stampa, è la sua ultima opportunità di scrivere la storia , la sua ultima esperienza mondiale e, a 35 anni suonati, la sua carriera calcistica è ai titoli di coda.
A proposito di Messi, impazza sui social e nei confronti televisivi di esperti ed addetti ai lavori, il paragone tra lo stesso Messi e Diego Armando Maradona, leggenda di un’altra epoca.
In realtà il paragone sembra più alimentato da stampa e tv per questioni di audience ed interessi commerciali piuttosto che fondato su un reale e plausibile confronto tecnico che, con tutto il rispetto per un fenomeno come Messi, come da lui stesso ammesso, non sta né in cielo né in terra.
Maradona è stato un uomo simbolo, una leggenda che rimarrà impressa sui libri di storia, il suo mito è indelebile, incancellabile e tracima il valore squisitamente calcistico per andare oltre, molto oltre. Diego è stato un simbolo di ribellione della parte debole del mondo contro il potere e i relativi soprusi. Ha deciso di rappresentare una parte d’Italia e del mondo che non contava, non si è accomodato al tavolo del potere pur essendo stato invitato a tavola, a capotavola. Le sue sono scelte politiche che hanno lasciato, lasciano e lasceranno un segno indelebile.
Volendo disquisire sul profilo strettamente tecnico, il paragone appare altrettanto improbabile in primis perché ci troviamo a confrontare due epoche storiche, calcisticamente parlando, diametrale opposte. Il periodo in cui ha brillato la luce di Maradona, gli anni ‘80, venivano palesemente favoriti i difensori con una pressione tecnica, fisica, morale e psicologica costante ed ininterrotta che iniziava già prima dell’ingresso in campo, dove difensori come Wiechowood, Gentile, Bruscolotti, tanto per citare alcuni esempi emblematici, utilizzavano qualsiasi mezzo, lecito e non, per impedire all’attaccante di turno di superarli e, qualora costoro grazie alle loro doti e abilità tecniche fossero riusciti a divincolarsi, venivano abbattuti senza pietà, nella consapevolezza da parte dei difensori stessi, che nessuna conseguenza significativa si sarebbe verificata. È rimasta leggendaria, al riguardo, Argentina Corea del sud ai mondiali di Mexico ‘86, finita 3-1 per i sudamericani, per il numero e l’entità dei falli commessi dai difensori coreani proprio sul pibe de oro; ebbene, se quella partita si fosse disputata con le attuali regole, probabilmente l’Argentina avrebbe avuto la partita vinta 0-3 a tavolino non potendo una squadra avere un numero di giocatori in campo inferiore a 6. Basti pensare che il vincitore della classifica cannonieri, nonostante in Italia si esibissero gli attaccanti più forti al mondo, raramente superava le 20 reti a campionato.
Nel calcio di oggi, con il prepotente ingresso delle tv a pagamento e per motivi legati soprattutto al business, si favorisce evidentemente lo spettacolo, il gol e quindi, inevitabilmente gli attaccanti e le regole, in questi anni, sono state mutate proprio in questa direzione, finalizzate esclusivamente a favorire l’appetibilità televisiva. Basti pensare alla regola dell’espulsione sulla chiara occasione da gol, sulla gestione dei cartellini, su retropassaggio da difensore al portiere che consentiva a quest’ultimo di raccogliere sempre il pallone con le mani, favorendo comunque il gioco ostruzionistico delle difese.
Altro fattore da considerare è rappresentato dal fatto che le partite, all’epoca di Maradona, erano decisamente più equilibrate. Non era insolito nel periodo d’oro del Barcellona di Messi, constatare risultati roboanti contro compagini come l’Osasuna o il Getafe, dei 6-1 dove Messi avrebbe realizzato 3 o 4 reti. Ebbene nel periodo di Maradona per vincere 1-0 contro l’Ascoli c’era da penare considerando che lo stesso Ascoli, poi retrocesso nel campionato 1989-90, annoverava tra le proprie fila giocatori come Casagrande, uno dei centravanti della nazionale brasiliana, il Tornio, retrocesso nel campionato 1988-89 giocava con Muller centravanti, anch’egli nella batteria degli attaccanti brasiliani presentatisi da favoriti al mondiale di Italia ‘90; nelle file del Lecce giocavano i campioni del mondo Barbas e Pasculli mentre nella retrocessa Cremonese del campionato 1989-90 giocava Dezotti che il mese di luglio successivo, avrebbe disputato la finale mondiale a Roma contro la Germania proprio al fianco di Maradona. Gli esempi potrebbero essere a decine ma tutti finalizzati a comprendere quanto più difficili e competitive fossero gli incontri di allora.
Ricordiamo, infine, come le condizioni ambientali fossero decisamente meno favorevoli e i progressi nel campo della tecnologia abbiano agevolato la preparazione atletica e fisica dei calciatori; Maradona riusciva in quello in cui non riesce Messi adesso con un pallone pesante qualche chilogrammo in più e che le palestre attuali e la computerizzazione consentono di sviluppare muscoli che non si sapeva neanche di avere.
Per vincere a Barcellona, contesto già abituato a vincere a mani basse sempre e ovunque, con affianco i vari Iniesta, Xavi, Xavi Alinso, non sarebbe Stata necessaria alcuna rivoluzione ma seguire l’andamento solito, abitudinario della storia stessa. Per vincere a Napoli, invece, occorreva qualcosa che andasse oltre la rivoluzione, e quel qualcosa Maradona l’ha reso possibile. Questo l’ha reso una leggenda.


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