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Mercenari, il nuovo libro dell’ambasciatore Domenico Vecchioni. Intervista con l’autore

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Anna Tortora

Mercenari, il nuovo libro di Domenico Vecchioni, è una scoperta di particolari nuovi. Il libro si suddivide in parti storiche che ben indirizzano il lettore.

La parola mercenario evoca un fascino storico. Sembra quasi una figura ‘fantastica” e i motivi sono vari…

“Il mercenario nel corso dei secoli si è adattato alle circostanze storico-politiche delle varie epoche cambiando volto, procedure operative, strutture organizzative e anche finalità. La “fascinazione“storica, cui lei fa cenno, si riferisce probabilmente ai periodi in cui il combattente per la “mercede” si trasformò in qualcosa di più e di diverso di un semplice guerriero senza esercito e senza bandiera. Faccio un esempio per spiegarmi meglio. Alle soglie del Rinascimento, grandi mercenari divennero cavalieri, i cavalieri si trasformarono in Condottieri e i Condottieri assunsero spesso il ruolo di sovrani. Un caso emblematico: Francesco Sforza. Figlio di un mercenario, Francesco fu a sua volta mercenario al servizio dei grandi Signori italiani del tempo, finché non scoprì di essere diventato tanto potente, sul piano militare e politico, da poterli sostituire… Così finì per sposare Bianca Maria Visconti, figlia di Filippo Maria Visconti, l’ultimo erede della grande casata che aveva regnato su Milano per quasi due secoli, e…ne prese il posto, auto-nominandosi Duca e fondando la sua propria dinastia! Altro esempio: i mercenari che “vollero farsi re” in terre lontane ed esotiche nel XIX secolo. James Brooke, ex soldato britannico, diventato mercenario, assunse, dopo una serie d’incredibili avventure, il titolo di re del piccolo Stato Sarawak (Borneo), anche in questo caso fondando una dinastia. La sua vicenda ispirò Rudyard Kipling per il suo celebre romanzo intitolato appunto “L’uomo che volle farsi re” (negli anni 1970 ne fu tratto un film di grande successo, con Sean Connery e Micheal Caine). E ancora, i pirati della regina Elisabetta I (Drake, Hawkins e compagni) si trasformarono in corsari, per diventare in seguito patrioti e salvare la piccola Inghilterra dall’invasione della super potenza di allora, la Spagna. Non credo, invece, che si possa parlare di fascinazione storica per i mercenari svizzeri, al servizio delle monarchie assolute e repressive o dei lanzichenecchi, mercenari tedeschi, che erano temuti come la peste perché al loro passaggio razziavano, distruggevano tutto e lasciavano solo desolazione e morte.”

 

A proposito di figure affascinanti nel suo libro non può mancare “il Gattamelata “.

“Erasmo da Narni, detto il Gattamelata (così chiamato, secondo la vulgata, per il suo “parlar dolce”, il suo apparire falsamente mansueto, da “gattamorta”) fu un altro esempio di un mercenario di umili origini, che, grazie alla sua expertise militare, arrivò fino in cima alla scala sociale dell’epoca. Conosceva così bene l’arte della guerra che per i meriti acquisiti nella difesa di Venezia, fu elevato al rango nobiliare e ammesso nell’esclusivo Consiglio dell’alta nobiltà cittadina. Sul campo di battaglia il Gattamelata era imbattibile. Fu anche protagonista di una manovra che ebbe dell’incredibile e fece l’ammirazione di tutta l’Europa. Nella battaglia di Rovereto contro Niccolò Piccinino (altro famoso condottiero) volle che cinque galere da combattimento e 25 imbarcazioni fossero trascinate attraverso i campi da centinaia di buoi (Galeas per montes) per sorprendere il nemico alle spalle: dall’Adriatico al lago di Garda, risalendo il fiume Adige fino a Rovereto e poi via terra fino a Torbole. Uno dei più spettacolari monumenti equestri del medioevo (opera di Donatello) ha immortalato il Gattamelata e lo ricorda ai posteri in piazza del Santo a Padova. Un monumento che richiama alla mente più la figura di un grande sovrano e meno quella di un semplice mercenario.”

 

Ci sono vari periodi del mercenarismo. Addirittura lei lo definisce il mestiere più antico. Perché?

Ci sono riscontri storici irrefutabili: i mercenari furono utilizzati fin dalla notte dei tempi. Gli egizi ricorrevano ai mercenari perché non volevano distogliere la popolazione dalle incombenze abituali, in agricoltura per assicurare la sopravvivenza del regno e nei lavori pubblici per costruire i giganteschi monumenti tesi a glorificare il faraone-divinità. La guerra? Era preferibile lasciarla ai professionisti! I migliori mercenari dell’antichità furono senz’altro i greci, gli opliti. Soldati di elite pesantemente armati (spada e lunghe lance), ben protetti (corazza, elmo e scudo), che erano allenati a battersi in gruppo. I mercenari greci, nella loro marcia verso la Nubia (intorno al 600 a.C.), incisero inequivocabili graffiti sulla gamba destra di uno dei 4 colossi che rappresentano Ramses II ad Abu Simbel. Furono scoperti dagli esperti che seguivano la spedizione di Napoleone in Egitto. Anche nell’impero persiano si fece largo impiego dei mercenari. Tutti gli studenti del liceo classico hanno faticato parecchio nel tradurre le pagine dell’Anabasi, il resoconto dello storico Senofonte, che era anche un grande stratega mercenario. Racconta appunto la ritirata epica, grandiosa (da lui guidata) dei mercenari greci, dopo la sconfitta subita a Babilonia da Ciro il Giovane (il loro committente) contro il fratello Artaserse per la conquista del trono persiano. Senza più committente, senza più mercede, senza più capo (Clearco di Sparta, era morto in combattimento), i greci dovettero ritirarsi attraverso i 10.000 chilometri che li separavano dalle loro città natali.”

 

Mercenari o volontari?

Un altro volto del mercenario è quello del “volontario”. Un soldato cioè che si batte per una guerra non sua, riceve una mercede per la prestazione, ma lo fa per motivi politici o ideologici. Mercenario quindi nella forma, un po’ meno nella sostanza. Quando scoppiò la Prima guerra mondiale, circa 50.000 volontari affluirono da tutto il mondo a Parigi, decisi a battersi contro gli Imperi centrali. Per inquadrare tutta questa massa di giovani idealisti, però militarmente impreparati, le autorità francesi pensarono che la soluzione migliore sarebbe stata quella di inserirli nella legione straniera, nel cui ambito ebbero, in effetti, la possibilità di ricevere una formazione rapida ed efficace. Come i volontari italiani, che furono così numerosi da costituire un reggimento a parte della legione straniera (il quarto reggimento di marcia, la “legione garibaldina”). Fenomeno che si ripeté anche nella guerra civile spagnola e nella Seconda guerra mondiale. Del resto anche nel conflitto russo/ucraino abbiamo volontari (anche alcuni italiani) che combattono in opposte barricate, per Kiev o per Mosca. E non è certo la mercede che li ha motivati, perché questi “mercenari-volontari” percepiscono una retribuzione di gran lunga inferiore a quella dei veri mercenari professionisti. La mercede dunque non è la sola motivazione che li spinge a battersi, anche se formalmente essi possono essere considerati dei mercenari.

 

Mi parla del gruppo Wagner?

“Il discorso su Wagner sarebbe molto lungo. Dico solo che il “Gruppo” nasce nel 2014, su iniziativa dell’oligarca amico di Putin, Evgenij Prigožin, per dar manforte ai filorussi del Donbass entrati in conflitto con gli ucraini. A quell’epoca Putin voleva evitare di apparire direttamente coinvolto nel conflitto e quindi gli fece molto comodo ricorrere a questa formazione per così dire ibrida e allora anche un po’ misteriosa. Gli uomini Wagner non erano, infatti, né legionari (non facendo parte delle forze regolari russe) né mercenari (agivano per un solo datore di lavoro, la Russia), somigliava piuttosto a una moderna Società Militare Privata, che però in Russia erano e sono… vietate. Sta di fatto che il Gruppo si sviluppò in maniera tale (grazie anche ai finanziamenti e agli armamenti pesanti forniti dallo Stato russo), che il suo capo, Prigožin, cominciò a sognare di condizionare la politica bellica del Cremlino. Forse per un attimo sognò persino di “diventare Zar”, come un eroe di Kipling, tentando una “marcia su Mosca”. La sua hybris però lo perdette. Putin non poteva permettere una rivolta così plateale contro il suo potere. La vendetta fu servita fredda in due tempi. Da una parte il capo del Cremlino impose agli uomini del gruppo di scegliere: firmare un regolare contratto col Ministero della Difesa o cambiare mestiere! Dall’altra eliminò Prigožin, facendo morire in un incidente aereo insieme al suo vice, Dimitrti Utkin, il vero comandante sul campo, suo erede designato. Naturalmente non ci sono prove di un coinvolgimento “ufficiale” nel mortale incidente aereo, però è certo che la morte di Prigožin ha liberato Putin di una fastidiosissima spina nel fianco. Insomma, in poche parole, ora il gruppo Wagner è stato finalmente “normalizzato”. E’ diventato una sorta di legione straniera russa non ufficiale, o, se vogliamo, un gruppo di “mercenari di Stato” che difendono un solo interesse nazionale, quello della Russia. Ciliegina sulla torta Wagner, Putin ha nominato di recente il nuovo capo del gruppo: Pavel Prigožin. Stesso cognome? Sì, in effetti, si tratta del figlio di Evgenij. Putin, con mossa da maestro, ha così allontanato tutti i sospetti che lui possa avere qualcosa a che vedere con la morte del capo di Wagner. Come, in effetti, avrebbe potuto il figlio accettare la nomina dalla persona che avrebbe fatto eliminare il padre?”


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Anna Tortora

Nata a Nola. Si è laureata alla Pontificia facoltà teologica dell'Italia meridionale. Le sue passioni sono la politica, la buona tavola, il mare e la moda. Accanita lettrice, fervente cattolica e tifosa del Milan.