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‘Miseria e Nobiltà’, con Arena e Melchionna il teatro “di regia” rinvigorisce Scarpetta

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Acerra, 9 dic. – Lo si definisce un classico scarpettiano, ‘Miseria e Nobiltà’, ma rileggerlo con sagacia è privilegio di pochi. Nel novero degli estri teatrali rientrano Lello Arena e Luciano Melchionna che al Teatro Italia di Acerra hanno fatto tappa l’8 gennaio con la propria riproposizione della piéce di Eduardo Scarpetta.

Si rigenera la battuta sul dilemma della povertà attraverso scenografie, trucco, parrucco e costumi noir.

Una scelta singolare che va controcorrente e dona nuovo smalto al teatro di tradizione.

Lo spettatore scettico all’inizio della piéce, viene conquistato man mano dalla scena rivisitata che prende forma con nuova vis interpretativa di Maria Bolignano, Lello Arena, Giorgia Trasselli, Raffaele Ausiello, Veronica D’Elia, Marika De Chiara, Andrea de Goyzueta, Alfonso Dolgetta, Sara Esposito, Carla Ferraro, Luciano Giugliano, Irene Grasso, Fabio Rossi.

L’umorismo nero pervade i personaggi che con la propria esperienza pian piano tirano fuori nuovi pensieri da Felice, Pasquale, Luisella, Concetta e Peppeniello.

La rigenerata ‘Miseria e Nobiltà’ diventa celebrazione sottile di veri e propri topoi letterari: Felice ricorda Enrico  VIII, Pasquale un novello Garibaldi; Luisella è la Fata Morgana del ciclo arturiano (vive un infelice rapporto con Felice proprio come Morgana con il re Urien; ha fama di essere divoratrice di uomini ed é gelosa del successo di Felice che diventa anche se per finzione, principe di Casador proprio come la maga lo era di re Artù).  Peppeniello è l’Oliver Twist dell’occasione che cita Iqbal Masih quando viene cacciato di casa e mandato dai genitori a lavorare: “Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite”.

Cosa dire poi del Marchesino riproposto come un cappellaio matto che ricorda pedissequamente l’interpretazione di Johnny Depp.

Dunque con Scarpetta si mescolano Lewis Caroll, Shakespeare, il ciclo britannico, Charles Dickens, Tim Burton. ‘Miseria e Nobiltà’ presenta così l’atavica lotta per la sopravvivenza, esaltando la vita troppo bistrattata, ma anche bizzarra dei sobborghi.

La sfida di Melchionna, Arena, Bolignano, viene accolta dallo spettatore in senso pieno: pur conoscendo tutte le battute a memoria della storia di Scarpetta, assiste compiaciuto ad una rappresentazione diversa e originale.

Felice Sciosciammocca, da semplice scrivano si eleva a promulgatore di cultura. Commentando l’insuccesso lavorativo, Felice (Lello Arena), si dedica a riflessioni romantiche.

“Cosa importa oggi ai ragazzi di saper scrivere? A scuola vanno tanto per andare, mica per imparare. Ai genitori non interessa niente se i figli sanno parlare, pensare. La lingua italiana chi la parla più! Siete ignoranti recidivi, cronici – chiosa Felice ai familiari ed amici – Avete mai letto un libro pure per sbaglio o siete entrati in un teatro per capire che la vita può stare sia di qua che di là della tenda rossa? Incuriositemi! Lasciatemi una metafora! Le parole hanno un potere, dipende da come le accosti. Pensa che bella é la parola fare l’amore, perché è fare, rendere possibile, concreto; diciamo fare colpo, fare fuori; fare fortuna, quattrini. Oggi nessuno vuole fare, faticare; i lavori umili li “fanno” quelli come noi. Ma che c’è di umile nel portare un po’ di cultura? Noi siamo un patrimonio, anche se poveri”.

Così in uno scantinato/discarica, come “ratti’ i personaggi cercano di salire alla luce del sole e di usare la pantomima recitata della nobiltà per sedare fame ed istinti di riscatto.

 

 

Foto di Arturo Favella


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Pina Stendardo

Giornalista freelance presso diverse testate, insegue la cultura come meta a cui ambire, la scrittura come strumento di conoscenza e introspezione. Si occupa di volontariato. Estroversa e sognatrice, crede negli ideali che danno forma al sociale.