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NTF, ‘Il Colloquio’, il dramma oltre le mura del carcere

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Napoli, 13 lug. – Non un racconto da Prison-movie carico da azione, ma un’opera teatrale che si nutre di sentimenti di donne, mogli e madri, in attesa di colloquio fuori le mura del carcere.

Un viaggio oltre la prigione, con connessione intima tra la prigionia effettiva e metaforica, vissuta non solo dai detenuti, ma anche dai loro familiari.

Questo è ‘Il Colloquio’, già Premio Scenario di Perifera 2019, in programma nella tredicesima edizione del Napoli Teatro Festival, con progetto e regia a cura di Eduardo Di Pietro.

Al centro della narrazione la vita di tre donne, di età diversa, ma con uguale destino: quello di essere eterna Penelope in attesa del ritorno in casa del proprio Ulisse, che questa volta è un figlio o un marito che sta scontando il proprio debito con la giustizia, nel carcere di Poggioreale, a Napoli.

In attesa del cosiddetto ‘nostos’, Pina, Annarella e Maria Assunta, attendono in fila fuori dal carcere, il tanto atteso colloquio con l’uomo della loro vita.

Maria Assunta è una veterana delle attese fuori  dalla struttura penitenziaria: il figlio Carmine è in galera e per lui si è ridotta a vendere ogni sorta di genere di prima e seconda necessità, fuori dal carcere.

Paga lo scotto di essere madre di un ragazzo che ha rubato 11mila euro e che per quei soldi,  neppure tanti, si è rovinato la vita.

Annarella, soprannominata ‘Core ‘e fierr’, ha due figli, Elvira e Diego, avuti dal marito Ciro le sole due volte che è riuscito ad uscire da galera, per poi rientrarvici in maniera seriale.

Alla fine c’é Pina, neo sposa ancora ignara del lungo calvario che l’aspetta tra attese di colloquio e sconto di pena del marito.

Quest’ultima rappresenta un mix di ingenuità e indignazione, desiderosa di far scalciare il puledro che le si ribella dentro e vorrebbe indurla a lasciare il marito, da cui ha scoperto di aspettare un figlio.

Cosa succede dunque prima di un colloquio con un detenuto? A raccontarlo con la loro foga espressiva, sono i tre attori Renato Bisogni, Alessandro Errico e Marco Montecatino.

Incarnano donne che a tratti diventano uomo per necessità di sopravvivenza. Indossano i colori del lutto e dell’amore; vestite di nero e rosso, si raccontano il proprio vissuto in un’anticamera carceraria che è la strada.

Sono sole e affrante, come spesso accade, ma intente a tirare fuori una forza sovrumana per non soccombere alla battaglia della vita.

Saranno colpevoli o complici degli errori dei loro uomini? Anche questo si chiedono le tre donne dilaniate nell’anima.

Con i loro silenzi costruiscono l’altro pensiero che abita l’io di chi ha scelto suo malgrado di essere compagna di vita di un uomo che ha compiuto scelte sbagliate.

La bravura degli attori restituisce parola e dignità ai tre vissuti, certamente discutibili, ma carichi di pathos.

La narrazione delle vicende ricalca una tematica di interesse nata giá negli anni ‘60 con lo spettacolo ‘The Brig’, scritto dall’ex marine Kenneth M. Brown, in cui si evidenzia la brutalità di stato d’animo ingenerato dalla prigionia, poi sviluppata in maniera più acclarata nel teatro di fine anni Settanta, inizio Ottanta.

Ritorna di attualità in un periodo in cui, causa Coronavirus, sono stati vietati i colloqui nelle carceri per emergenza sanitaria, generando rivolte fuori e dentro le case circondariali.

’Il Colloquio’ è uno spaccato di un mondo esistente e pieno di sfumature, raccontato tante volte, ma sempre “forte”, soprattutto per le nuove generazioni che si accostano al teatro.

Palesa l’effettiva conseguenza degli errori dei galeotti che costringono le proprie donne alla rinuncia dell’affettivitá per anni, cercando ispirazioni per andare avanti.

Mostra il groviglio degli affetti fuori e dentro il carcere tra la scelta di raccontare o meno la  verità ai propri figli, la grande fatica di gestire colloqui in assenza di intimità e di salvare la famiglia dai disastri conseguenziali della galera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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Pina Stendardo

Giornalista freelance presso diverse testate, insegue la cultura come meta a cui ambire, la scrittura come strumento di conoscenza e introspezione. Si occupa di volontariato. Estroversa e sognatrice, crede negli ideali che danno forma al sociale.