21 Dicembre 2024
PoliticaPolitica Interna

Occorre una resistenza civile contro il fallimento della politica climatica. Una sfida di democrazia da affidare ai giovani. Da “Ultima Generazione” ad ultima occasione

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di Antonio del Mese.

Secondo il pensiero ecologista l’uomo si sarebbe dovuto adattare alla natura ed invece abbiamo visto che l’uomo sta determinando, in negativo, l’evoluzione futura del pianeta e pretende che la natura debba adattarsi a lui.

“Ultima Generazione” è un gruppo di attivisti italiani, coordinati nella rete internazionale A22 Network, al pari di Letzte Generation in Germania e Just Stop Oil nel Regno Unito.

Praticano azioni mirate e dirompenti per disturbare la quotidianità e sollevare l’attenzione sulla crisi climatica, facendo sentire la propria voce nel mondo, evidenziando l’incapacità dei governi di affrontare “l’ultima sfida”.

Basti guardare agli appuntamenti globali, di carattere politico-scientifico, sul clima e sulle azioni che si sarebbero dovute intraprendere: dal 1992, epoca in cui si tenne la Conferenza di Rio de Janeiro e si consacrava che il cambiamento climatico fosse una preoccupazione comune del genere umano, al 1997 con il fallimento del Protocollo di Kyoto, alla sostanziale inutilità degli accordi di Copenaghen nel 2009, di Parigi nel 2015, di Madrid nel 2019 e di Glasgow nel 2021, ci stiamo avvicinando alla COP 28 di Dubai del novembre 2023 che sarà presieduta, neanche a dirlo, da Al-Jaber, ministro dell’Industria e delle tecnologie avanzate degli Emirati Arabi Uniti nonché amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC), la maggiore azienda petrolifera del Paese.

La lotta contro i combustibili affidata a chi produce petrolio!

Tutto il mondo è paese: come in Italia, dove il ministro Salvini propone la galera per i giovani ambientalisti di Ultima generazione, rei di porre in essere metodi non violenti ma dirompenti e significativi.  

Strana Nazione la nostra, dove non va in carcere chi inquina o chi corrompe ma si muore per amianto, un killer silenzioso che, messo al bando dal 1992, si trova solo nelle scuole, nelle fabbriche, ma anche negli istituti di detenzione.

In Italia si è contrari alla pena di morte ma non a chi muore in carcere per amianto.  Paradosso su paradosso. Non abbiamo ridotto le emissioni, non abbiamo cambiato il modello politico.

Siamo prossimi a superare almeno cinque dei sedici punti di non ritorno climatici, oltrepassati i quali s’innescheranno mutamenti degli ecosistemi terresti irreversibili con conseguenze e impatti sull’umanità devastanti.

La ragione di questo fallimento è nella democrazia imperfetta, dove gran parte dei cittadini non votano più perché sono stanchi di venire puntualmente esclusi dalle decisioni reali.

Una classe politica che finge di lottare contro l’astensionismo ma lo incentiva e lo coltiva con modalità a dir poco spudorate.  

Ecco perché si alzano le voci dal basso.

Le solite voci, quelle dall’alto, non conoscono la vita reale ed ignorano la sofferenza delle persone mentre l’imperialismo climatico prosegue nel distruggere la natura che ci circonda.

Non ci resta che attendere fiduciosi un aumento di pena per i reati di imbrattamento di beni culturali o paesaggistici, per ripristinare la legalità violata. Come avvenuto dopo la tragedia di Cutro. La strada non è questa.

La tutela della natura non ammette deroghe, filtri, mediazioni, al pari del soccorso in mare. Quando le condizioni metereologiche sono avverse ed i tempi sono ristretti, l’emergenza è emergenza e si riduce alla brutale scelta tra sì ed un no, ti salvo o non ti salvo.

Dopo un investimento stradale con persone in pericolo di vita non è sufficiente inviare sul posto la polizia stradale, si devono chiamare i soccorritori del 118.

Di fronte alla crisi climatica dobbiamo fare un salto di qualità, quello di ascoltare, parlare ed affidare il futuro ai giovani.

Basterebbe prendere spunto da un quattordicenne del Regno Unito che, intervistato da Save the Children insieme a 42.000 bambini e ragazzi di 15 Paesi, tra cui anche l’Italia, ha definito i legami tra povertà, disuguaglianza ed emergenza climatica “aggrovigliati insieme come una ciotola di spaghetti“.


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