Cronaca

Operazione anti-camorra, 8 arresti

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Si è conclusa con otto persone arrestate con l’accusa di associazione per delinquere aggravata dai metodi mafiosi – e una nona sottoposta all’obbligo di firma – l’operazione anti-camorra “Darknet” della Guardia di Finanza di Rimini, che martedì 21 luglio ha portato al fermo di soggetti sospettati di aver favorito i clan di appartenenza (in particolare i Sarno e i Casalesi).

Tra le accuse contestate anche una serie di reati finanziari che vanno dalla corruzione alla turbativa d’asta, fino al riciclaggio di denaro. L’operazione, tra le altre cose, ha portato al sequestro di 17 aziende e di altri beni per un controvalore di oltre 30 milioni di euro.

L’indagine è partita nel 2017 e, grazie al lavoro dei finanzieri del comando provinciale della Guardia di Finanza di Rimini, con la collaborazione del Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata (Gico) di Bologna, si è conclusa dopo tre anni con fermi e sequestri in Emilia-Romagna, Campania, Calabria, Lazio, Lombardia, Marche, Basilicata e Piemonte.

Tutto è partito da provvedimenti di sorveglianza speciale emessi nei confronti di alcuni esponenti riconducibili al clan dei Casalesi e ad altri clan campani, trasferiti a Cattolica e Riccione: dalla Bassa Romagna sarebbe iniziata la scalata all’economia locale da parte di alcuni soggetti vicini o imparentati con i clan della camorra attivi nei business delle costruzioni, degli oli industriali, della ristorazione, ma anche esercenti di sale scommesse.

Le indagini hanno reso possibile documentare le fasi evolutive della cellula criminale, che in breve tempo, al fine di agevolare l’operatività dei clan camorristici (ex art. 416 bis 1 del c.p.) è riuscita a:

  • infiltrarsi nell’economia legale della Romagna e aree limitrofe, controllando diverse attività economiche in diversificati settori imprenditoriali, come l’edilizia, la ristorazione e l’impiantistica industriale, drenando risorse mediante fatturazioni per operazioni inesistenti tra le società a loro riconducibili;
  • asservire la funzione pubblica di due incaricati di pubblico servizio, agli scopi dell’organizzazione criminale, per l’acquisizione illegale di appalti pubblici;
  • reinvestire e auto-riciclare in attività imprenditoriali, immobiliari e finanziarie, ingenti somme di denaro derivanti da attività delittuose;
  • intestare a terzi ingenti patrimoni e attività commerciali frutto di attività estorsive e dello spaccio di stupefacenti;
  • affermare il proprio controllo egemonico sul territorio basso romagnolo e potentino, attraverso la repressione violenta dei contrasti interni.

In particolare, è emerso che G.I. e R.L.S., nonostante un apparente situazione reddituale insufficiente a soddisfare i fabbisogni primari, in realtà manifestavano un’elevata disponibilità economica, derivante – come chiarito dalle intercettazioni telefoniche e ambientali – dalla loro partecipazione occulta in numerose società operanti nei più disparati settori economici e formalmente intestate a prestanome, dalle quali gli indagati, con la connivenza del commercialista C.P., drenavano gli utili mediante emissione di fatture per operazioni inesistenti per centinaia di migliaia di euro e il successivo prelievo in contanti dei pagamenti ricevuti.

Inoltre, società di fatto riconducibili ai due pregiudicati erano riuscite ad ottenere – tramite pratiche corruttive e alterando le gare d’appalto, l’esecuzione di lavori pubblici all’interno della Stazione Sperimentale per l’industria delle Conserve Alimentari (SSICA) di Parma, fondazione pubblica interamente controllata dalla Camera di commercio di quella Provincia. I proventi illeciti venivano riciclati utilizzando una sala giochi e scommesse ubicata a Cattolica, riconducibile sempre agli indagati principali, ma gestita formalmente da tale G.T. Quest’ultima al fine di riciclare le somme provenienti dai reati in contestazione aveva in più circostanze simulato vincite al gioco.


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