Pompei (Deloitte) su Il Sole 24 ore: Climate Change: perchè anche il mondo del business deve reagire all’allarme dell’ONU
Le istituzioni e le imprese italiane devono cominciare a includere nelle proprie strategie di lungo periodo i rischi legati al cambiamento climatico e aumentare gli sforzi per centrare gli obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti. La maggior parte non lo sta ancora facendo
di Fabio Pompei, Amministratore Delegato Deloitte Italia
«È inequivocabile che l’influenza dell’azione umana ha portato al riscaldamento dell’atmosfera, degli oceani e della Terra». Non lascia spazio a dubbi l’allarme lanciato a metà agosto dall’Ipcc (Gruppo intergovernativo per i cambiamenti climatici), la massima autorità scientifica mondiale sul clima, con il report Climate Change 2021: the Physical Science Basis. Summa di tutto il sapere scientifico attuale sul clima e sul cambiamento climatico, lo studio dice a chiare lettere che il climate change è destinato a intensificarsi e che in tutto il Pianeta bisogna prepararsi all’aumento della probabilità di eventi estremi legati al fenomeno. Un appello all’azione destinato ai leader politici del Pianeta che si riuniranno in autunno nel corso della Cop26 (Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), ma anche alle imprese.
Guardando agli esiti del Summit G20 di Napoli sull’ambiente è chiaro che trovare un accordo politico sarà difficilissimo. Ed è altrettanto chiaro che l’opinione pubblica mondiale è sempre più consapevole di quello che sta accadendo. Perché, al di là dei report e degli studi, in sempre più luoghi del Pianeta le comunità locali stanno cominciando a sperimentare da vicino gli effetti del cambiamento climatico. Solo nel corso di quest’estate, ad esempio, in Germania quella che è già passata alla storia come l’Alluvione del secolo ha causato circa 200 morti e oltre 6 miliardi di danni. In Cina si sono registrate precipitazioni record e tempeste di sabbia inedite. In Canada e Nord America un’ondata di calore senza precedenti ha causato la morte di centinaia di persone. E sono state proprio le elevate temperature ad alimentare i numerosi e devastanti incendi che si sono verificati in diverse parti del mondo, tra cui Usa, Turchia, Grecia e la nostra Italia, dove sono andati in fumo oltre 158 mila ettari di boschi e foreste, come emerso mercoledì dall’European Forest Fire Information System (Effis) della Commissione europea, monitoraggio costante che vede un quinto del territorio nazionale a forte rischio desertificazione.
In questo contesto, non solo i politici, ma anche le imprese devono cominciare ad agire tenendo a mente l’allarme lanciato dall’Ipcc. Un impegno che da tempo a livello globale Deloitte si è assunta e che porterà avanti con sempre più determinazione. In questa direzione va, ad esempio, l’iniziativa di Deloitte in collaborazione con il World Economic Forum per la creazione di standard ESG universali. Una iniziativa finalizzata alla definizione di dati comparabili e trasparenti per misurare la resilienza aziendale e i progressi su questioni ambientali, sociali e di governance.
Questo impegno non è richiesto solo alle grandi aziende. Anche per il nostro tessuto economico, fatto soprattutto di piccole e medie imprese, è scattata l’ora della sostenibilità. Da un lato sarà loro richiesto di migliorare la sostenibilità di processi e prodotti: a esigerlo saranno le normative sempre più stringenti, ma anche la nuova sensibilità dei consumatori – come emerge dalla nostra Millennial&GenZ survey, secondo cui per i giovanissimi della Gen Z (1995-2003) quella per il cambiamento climatico e la protezione del pianeta è al primo posto tra tutte le preoccupazioni sui grandi temi. Dall’altro, anche queste aziende dovranno imparare a integrare, nei propri modelli di business, piani di valutazione dei rischi legati al cambiamento climatico. Perché, come ben descritto nell’ultimo report del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, «i costi degli impatti dei cambiamenti climatici in Italia aumentano rapidamente e in modo esponenziale al crescere della temperatura nei diversi scenari: dallo 0,5% del PIL pro capite attuale, si potrebbe arrivare al 7-8% a fine secolo nello scenario peggiore». Un chiaro monito che ci deve spingere a investire di più sull’efficienza energetica, sulle infrastrutture del Paese, sull’agricoltura – che grazie all’innovazione tecnologica potrebbe evitare l’impatto altrimenti devastante del cambio climatico – e sul turismo, che rischia di essere colpito gravemente dalla minaccia di eventi climatici estremi.
Come altre grandi realtà, anche Deloitte sta accelerando per aggiornare le policy che ci consentiranno di diminuire l’impatto ambientale, nell’ambito della più ampia strategia WorldClimate con cui vogliamo raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette entro il 2030. Oltre a questo, a inizio agosto abbiamo lanciato il nuovo programma di “learning” sul clima indirizzato a tutti i nostri 330 mila professionisti nel mondo, pronto a partire nei prossimi mesi. Questo programma, sviluppato in collaborazione con il WWF, è stato progettato per rendere consapevoli e ispirare ad agire le nostre persone – e di conseguenza i nostri stakeholder e clienti – sull’impatto dei cambiamenti climatici. E allora faccio mie le parole del nostro Ceo Global, Punit Renjen: per affrontare i cambiamenti climatici è necessario comprenderli. Per questo, prima grande azienda al mondo, abbiamo deciso di impegnarci con un programma di alfabetizzazione interna rivolta a tutte le nostre persone sul tema del cambiamento climatico, finalizzato anche a dare a ognuno le basi per capire come contribuire positivamente a questa sfida – sia nella vita professionale, sia in quella personale. E speriamo di essere solo il primo esempio di un trend diffuso all’interno di aziende e istituzioni. Perché, come sempre, cultura e conoscenza sono indispensabili per acquisire consapevolezza e solo con la consapevolezza e l’impegno di tutti potremo essere all’altezza della sfida che abbiamo davanti.
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