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Recensione – ‘Bufale e Liùne’, la bellezza della vita semplice e brutale sublimata a teatro dalla Compagnia Nest

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Da Barcellona ai vicoli di Napoli, da Pau Mirò ad Enrico Ianniello; questo è il passaggio fondamentale che dona smalto a ‘Bufale e Liùne’, portato in scena all’Acacia di Napoli dallaCompagnia Nest, come adattamento in testo unico della trilogia di Mirò. Lo spettacolo con la regia di Giuseppe Miale Di Mauro, dimostra che il teatro napoletano non è solo fantasia; è sempre carne viva ed in scena con Alessandra Borgia, Giuseppe Gaudino, Alessandra Mantice, Stefano Meglio e Adriano Pantaleo, si sublima tutta la bellezza della vita semplice e brutale che ciascuno è chiamato a compiere.
La vicenda inserita in un’atmosfera surreale, data da una lavanderia di periferia attraversata da fasci di luce che fungono ora da fari sulla vita dei protagonisti, ora da fiamma fioca di una candela che asseconda il loro spegnersi interiormente, è accompagnata al suo inizio, dalla voce narrante di Francesco Di Leva, pronto a guidare il racconto forte e doloroso di una famiglia caratterizzata dal senso di perdita. Il nocciolo della trama ruota intorno ad una scomparsa: quella di Max, un bambino di 9 anni di cui si perdono completamente le tracce. Il paradosso è che subito dopo l’infausta vicenda la famiglia di Max vince una piccola fortuna, che a detta della mamma di Sara (sorella di Max finita sulla sedie a rotelle dopo il trauma della scomparsa), rappresenta l’inizio del dramma del suo nucleo domestico. Da quel triste momento sono trascorsi dieci anni di grigiore continuo, interrotto dall’arrivo improvviso in lavanderia di Davide, un giovane cliente che in piena notte chiede a Sara di lavargli la camicia tinta di sangue, nella sua lavanderia.

Il giovane rimescola tutte le carte in tavola per la famiglia di Sara, che intanto è una ragazza iperprotetta perchè affetta da paralisi. La giovane indossa sempre abiti da ballerina, pur non potendo letteralmente danzare. Si sente prigioniera della sua sedia a rotelle, ma nella notte di luna piena in cui incontra Davide e lo aiuta a lavarsi i vestiti, ricomincia a danzare fattivamente con tutto il suo volere interiore.
La famiglia di Sara vede in questo arrivo un’opportunità per la propria figlioletta adorata e cerca di trattenere contro il suo volere Davide, intimandogli di fidanzarsi con la ragazza. Intanto la suspense della trama cresce; il silenzio in platea incombe, dal momento che il narrato non prende palesemente una netta direzione di intenti. La curiosità dello spettatore si infittisce quando si scopre che nella stessa notte in cui Davide è piombato in lavanderia, è stato commesso un omicidio nel quartiere. Il noir che si sta profilando sulla scena non spaventa i protagonisti della vicenda, impegnati dal canto proprio, a ruggire per cercare di sopravvivere. Nonostante gli abiti e gli animi dismessi, i genitori di Sara cercano di vestire il loro essere bufale con l’aspetto di leoni che alzano la testa e vanno avanti, prendendo in mano quel che resta di una vita che di fatto, con la malattia della figlia e la perdita dell’altro bambino prediletto, è diventata piatta e trascinata.

In questo scenario compare la figura di un commissario che incalza Davide con le sue domande inquisitorie; mette tutti alle strette, fino ad indurre Sara alla ribellione finale, trascinandosi verso la sua libertà, pur non potendo camminare. Mentre tutto questo si consuma, tre canzoni quali Frida di Fred Bongusto, Il cielo in una stanza di Gino Paoli e Core ‘ngrato fungono da rottura scenica. La melodia dolce accompagna in modo distonico il vissuto dei protagonisti costretti ad una vita immobile. Il dramma familiare si apre a ventaglio davanti agli occhi degli spettatori; ci si accorge che due genitori allontanati dalla scomparsa di un figlio, cercano di reggersi in piedi guidando le scelte dell’altra figlia, fino ad imprigionarla più di quanto abbia mai fatto la sua carrozzella. Su di un piano inclinato la parola scenica impeccabile degli attori, scivola, si mescola e tace letteralmente dinanzi al bacio che Davide dà a Sara liberandola finalmente dalla morsa dei genitori predatori. Quando Sara si emancipa dalle viscere della famiglia e lo fa con tutto il suo volere, la madre viene inghiottita dalle sue stesse sabbie mobili e prende il posto della figlia sulla sedia a rotelle.

In questa trama che annichilisce la vitalità degli adulti, i giovani in scena dimostrano di attingere forza dai loro sogni, osando anche nell’impossibilità. L’io ottiene così la sua rivincita, anche se qualcosa bisogna lasciarlo cadere dietro di sè. Lo implica il senso della scelta; quello spiccare il volo che è atto di identità e dignità insieme e lancia il suo inno alla resilienza della vita. Tutti gli attori del cast sono pregni di vitalità scenica e alla pari in questo spettacolo. Si lasciano apprezzare dal pubblico pagante che esce dal teatro pago di una rappresentazione sensazionale non per effetti speciale, ma per una recitazione asciutta e pregnante, che avviluppa e non stanca.


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Pina Stendardo

Giornalista freelance presso diverse testate, insegue la cultura come meta a cui ambire, la scrittura come strumento di conoscenza e introspezione. Si occupa di volontariato. Estroversa e sognatrice, crede negli ideali che danno forma al sociale.