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Recensione – ‘Come tu mi vuoi’, il pendolo dell’anima nella magnifica interpretazione di Lucia Lavia

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La capacità di Pirandello di scarnificare il personaggio, di scrostarne le ossessioni è qualcosa che fu talmente innovativo nella storia del teatro, da avere ancora oggi il potere di ipnotizzare lo spettatore. Potere che viene trasferito in modo meraviglioso dalla regia di Luca De Fuscoall’attrice Lucia Lavia che sdoppia perfettamente il suo personaggio in Cia ed Elma l’ignota nell’opera della maturità pirandelliana ‘Come tu mi vuoi’ portata in scena al Teatro Sannazaro di Napoli.

La trasposizione teatrale ispirata alla celebre vicenda giudiziaria del caso Canella-Bruneri che tenne gli animi sospesi sulla vera identità della persona alla quale i due nomi erano attribuiti da opposti schieramenti, senza una convincente soluzione, trasferisce la problematica dell’identità ad un personaggio femminile, che diventa l’altra faccia della medaglia di ciò che avvenne al maschile ne Il fu Mattia Pascal.

Pirandello scelse di raccontare nel 1930 la contesa tra l’amante Cari Salter col quale la donna vive nella Berlino sconfitta dopo la guerra, e Bruno Pieri che ritrova finalmente Lucia, la moglie scomparsa dieci anni prima. Nel testo la protagonista è chiamata l’Ignota: è diventata una ballerina che fa vita notturna frequentando giovani gaudenti e si trova in casa insidiata dal vecchio scrittore Salter, fino a quando non sopraggiunge il passato a bussare alla sua porta, riportandola in Italia, ad Udine, da parenti e marito, dopo la scomparsa dovuta alla Grande Guerra.

Nella piéce rappresentata a Napoli, Lucia Lavia è l’ago della bilancia che sa pendere magnificamente da un capo all’altro del palcoscenico, dando al neghittoso buio dei personaggi che le gravitano intorno, una luce che accende la quaestiosulla vicenda profonda dell’animo di ogni io protagonista in scena.

Il bene e il male, l’esigenza di “svestirsi” da un ruolo per interpretarne un altro in un recitato che diventa una tarantola, fa sì che l’Ignota (Lucia Lavia), col suo morso oscuro, lasci col fiato sospeso lo spettatore che assiste in un silenzio tagliente al tentativo della protagonista di “rifarsi” identità e personalità.

Mentre Lucia si perdeva per essere altro da ciò che non riusciva più a riconoscere, la gente intorno a lei, al suo rientro a casa, la vedeva come più gli piaceva. Anche le sue sembianze cambiavano di volta in volta secondo la percezione di ciascuno, e ‘Cia’ (abbreviazione di Lucia per i familiari), cerca così di “recitare la commedia” secondo il modo in cui ognuno vuole vederla, Bruno compreso. Il marito da cui si è allontanata 10 anni prima, adesso rivendica che tutti riconoscono viva la consorte. A questo riconoscimento sono però annesse questioni ereditarie. Ragioni di sentimento contro ragioni economiche sono al centro del dibattito sulla figurazione della finta morte della donna che aveva ricominciato un’altra vita a Berlino.

A Cia che sceglie la via del ritorno ad Udine, importa solo di essere finalmente vista per quel che è, amata non per il nome o la ricchezza che portava; ma per la sua essenza mutevole e bisognosa di diventare altro da quel che prima era.

Non abbiamo tutti gli stessi occhi nel vedere la medesima cosa, ribadisce in tal senso, il testo teatrale. Ce lo ricorda anche una cornice sulla scena che ci lascia soffermare sul concetto di verosimiglianza, facendo da lente di ingrandimento sul viso, sul corpo e sulle espressioni di Cia: tirate, stanche, disperate e perdute non solo per la nausea di una vita angosciata, ma per la pena che alla fine la speranza di essere altro dalla desolazione, non sarà mai accolta. La narrazione toglie il respiro con una tensione emotiva che come vite girata su una trave di legno fissa, fa rumore e male contemporaneamente.

E mentre lo spettatore osserva Lavia e la compagnia esibirsi con intenso pathos e precisione, il cuore dello spettatore sobbalza fino a mettere in moto un inconscio pensiero. Cosa riescono a fare gli anni, e dunque il tempo, sulla vita di una persona? Pirandello ci spiega che un io che non sa volere e volare nel suo senso di appagamento, pur sforzandosi dannatamente di sopravvivere fingendo di essere vita nuova o altro da sè, alla fine viene sempre risucchiato dal passato che come uno spettro si presenta davanti allo specchio, chiedendo le sue ragioni. Morire per rinascere nuovamente liberi, è davvero possibile o resta comunque un gioco imperfetto che rende schiavi coloro che non riescono a rigenerarsi nel fermento della novità? In ognuno esistono tante vite: quelle vissute, rifiutate, sognate, tentate, celate. Siamo ventagli che cercano all’occasione, di aprirsi come code di pavone per essere ammirati, riempendo con quegli sguardi di stupore, le mancanze che in tanti hanno e in quanto tali non potranno mai essere recuperate. Pirandello fu lo scrittore e il commediografo dell’altra vita, quella che si sdoppia per mostrare a ognuno quanto siamo imperfettamente sfaccettati. Lucia Lavia riesce a far arrivare tutte queste percezioni dal primo istante in cui compare sul palco, fagocitandone tutta la magia.  Francesco Biscione, Alessandra Pacifico, Paride Cicirello, Nicola Costa, Alessandro Balletta, Alessandra Costanzo, Bruno Torrisi, Pierluigi Corallo, Isabella Giacobbe, completano il mosaico di personaggi che consente impeccabilmente all’adattamento di regia di Gianni Garrera e Luca De Fusco, di mettere in risalto oltre alla protagonista, la verità scenica che pone al centro l’Uomo. Lo spettacolo ben allestito, tra proiezioni, coreografie e musiche, è un piatto ricco di cui può godere ogni appassionato di teatro, trovando al suo interno risposte, domande e sollecitazioni, che altrimenti non avrebbe o si porrebbe nel quotidiano.


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Pina Stendardo

Giornalista freelance presso diverse testate, insegue la cultura come meta a cui ambire, la scrittura come strumento di conoscenza e introspezione. Si occupa di volontariato. Estroversa e sognatrice, crede negli ideali che danno forma al sociale.