Recensione – ‘I cinque figli’, il drammaturgo Antimo Casertano rilegge Basile con istrionica espressività
È proprio vero che in questo mondo abbiamo bisogno di rivivere la fiaba, per addolcirlo con l’immaginazione, avvicinandoci a valori e racconti esemplificativamente ispiranti. Lo comprende bene Antimo Casertano, attore e drammaturgo partenopeo, oltre che fine indagatore della potenza narrativa. Al Nuovo teatro Sancarluccio di Napoli l’artista ripropone l’ottavo passatempo della quinta giornata de Lo Cunto de li cunti di Giambattista Basile, intitolato ‘I cinque figli’. Così una fiaba squisitamente seicentesca diventa pagina parlante al nostro tempo, fatta di ironia, tenerezza ed archetipi che trovano nuova interpretazione. Casertano è un ricercatore attento della materia teatrale, della storia napoletana e della sua drammaturgia; per questo sceglie di rispolverare un racconto che diventa percorso incentrato sul senso importante della crescita e della famiglia.
Al suo Pacione, vero protagonista della favola, l’attore conferisce fiera rappresentatività. Ne traccia l’indispensabile essenza di padre, uomo laborioso e dignitoso, dando contemporaneamente voce ai cinque figli che l’uomo ha generato. In una sola ora Casertano diventa camaleontico sulla scena, destreggiandosi nello sdoppiamento di ben sei personaggi, perfettamente elaborati in voce, movenze e colore espressivo. Nel ritratto di Pacione che mette alla prova la sua progenie, allontanandola da casa per circa un anno, c’è tutta la volontà di mostrare come l’individuo debba essere in grado di tracciare la sua strada, mettendosi in cammino per affrontare le sfide della vita. Così i cinque figli siciliani che scelgono di cimentarsi in un lungo viaggio, in compagnia del genitore per liberare una fanciulla sarda imprigionata da un orco, si trovano ad affrontare un percorso ricco di peripezie tra Sicilia, Sardegna e Campania, per scoprire la propria geografia umana.
Dietro la rilettura teatrale di Antimo Casertano che riesce a raggomitolare nel suo teatro istinto, distintività e grande competenza, c’è un effetto teatrale traslucente, pieno di meraviglia. La sua rilettura di Basile sa avere toni leggeri, umoristici, disegnando con nitidezza tutto lo stupore di cui una fiaba si nutre.
La mente di Casertano è indiscutibilmente una grande officina di riferimenti, pensieri, parole ed interpretazioni, che al linguaggio fiabesco donano nuova aderenza. L’attore diventa un pifferaio magico che nella metanarrazione fiabesca dilata il tempo della storia, sollecitando con fascino, l’attenzione dei suoi spettatori. Nel modernizzare Basile, con piccoli riferimenti attuali, il drammaturgo diventa multiplo. E’ un menestrello che mentre racconta, traduce allo spettatore (in senso metalinguistico), tutta l’ambientazione dei suoi personaggi. Lo fa con una scenografia essenziale, ma appositamente progettata, per dare a suoni, rumori, oggetti e protagonisti della fiaba, una illustrazione originale.
Così, oltre l’intrattenimento giocoso, Antimo Casertano esercita il fascino dell’affabulatore che con la sua narrazione orale disegna un nuovo spazio magico, caldo ed accogliente in cui lo spettatore si abbandona all’effetto di fantasticherie che tramandano un patrimonio di valori, esperienze e saggezza, che suscitano stupore creativo.
L’ascolto della parola teatrale impastata e pronunciata da Casertano è lievito che conferisce morbidezza ed evoluzione alla favola seicentesca. Il ritratto di Pacione è fermento per tutti gli altri personaggi a cui Casertano dà miracolosamente vita, con la forza della sua munifica espressività. Diventa così inevitabile applaudire una fiaba rinvigorita dalle grandi abilità di Casertano, riattivata in una fantasia che lascia danzare lo spettatore tra entusiasmo e riconoscenza per ciò che gli è stato generosamente donato a teatro.
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