Ritirata americana in Afghanistan. Conseguenze e cambiamenti. Intervista a Germano Dottori.
Per la mia rubrica IL Personaggio sono lieta di ospitare Germano Dottori, consulente scientifico di Limes. Con lui affronterò un tema molto delicato.
D. Come sta cambiando la geopolitica e che cosa sarà della Nato dopo la ritirata americana dall’Afghanistan?
R. “Il mondo è da tempo in una fase fluida, che è contrassegnata da due fenomeni tra loro in parte legati. Da un lato, assistiamo all’emersione di una nuova superpotenza, la Cina, che ha gettato la maschera ed enuncia apertamente le proprie ambizioni. Dall’altro, siamo testimoni di un cambiamento fondamentale nella postura degli Stati Uniti, che stanno rinunciando al presidio diretto delle periferie dell’Eurasia per concentrarsi sul mantenimento del primato marittimo ed aerospaziale, che consente di proiettare la forza da remoto: è in quelle dimensioni fisiche che si deciderà se questo secolo sarà ancora americano o diventerà cinese. Esiste in questo processo una grande continuità tra Obama, Trump ed oggi Biden. Peraltro, le varie amministrazioni che si sono succedute in questi anni differiscono tra loro su alcune implicazioni del ripiegamento. Trump lo voleva ordinato e scommetteva sugli uomini forti. Obama e Biden sembrano invece non avere paura del caos.”
D. È favorevole alla costituzione di un esercito europeo e ritiene che sia fattibile?
R. “Ritengo che sia una pericolosa illusione dietro la quale c’è la speranza di alcuni che vi vedono un modo di risparmiare risorse ed abdicare alla responsabilità nazionale di decidere dove, come e quando eventualmente usare la forza militare. Gli eserciti sono emanazione degli Stati e della loro politica estera. Se Stato non c’è, e l’Unione Europea non è certamente uno Stato, lo strumento militare è inerte. Vale per l’Afghanistan di Ghani come per l’Europa comunitaria, seppure naturalmente per motivi differenti. Il massimo cui si possa aspirare è il rafforzamento del cosiddetto pilastro europeo dell’Alleanza Atlantica: è una strada che dovremmo esplorare con più coraggio. Gli americani non vogliono più esporsi moltissimo, ma sarebbero disponibili a sostenere eventuali sforzi europei che fossero focalizzati sulla stabilizzazione del nostro estero vicino. Siamo ovviamente molto lontani dalle tesi di chi vorrebbe un’Europa potenza, in grado di perseguire anche obiettivi non concordati con gli Stati Uniti, come quella prefigurata tempo fa da Macron.”
D. Senza l’impegno militare degli americani dobbiamo aspettarci maggiore instabilità nel mondo e un numero crescente di conflitti?
R. “Dipende dalle modalità del ripiegamento americano. La strategia di Trump, quella culminata negli accordi di Abramo, permetteva di immaginare un alleggerimento dell’impronta militare statunitense compatibile con la stabilità. L’approccio di Obama andava invece nella direzione opposta: favorire il cambiamento seguendo l’onda della storia anche a dispetto della stabilità. Ne sono scaturiti conflitti ancora in corso. Biden sembra rifarsi a questa posizione. Le conseguenze per noi sono evidenti e sono gli stessi americani a ricordarcele: dovremo farci carico della sicurezza e della stabilità delle zone che interessano a noi più di quanto interessino agli Stati Uniti. Andrebbe quindi rivista tutta la pianificazione militare immaginata trenta anni fa, quando ci convincemmo di dover aiutare l’America in qualsiasi parte del mondo andasse, contribuendo alle sue operazioni con nostre capacità di nicchia, come abbiamo fatto in Iraq ed Afghanistan. Ora a Washington questo importa molto meno. L’Italia sembra averlo capito, stando almeno ad alcune scelte recenti della programmazione pluriennale della sua Difesa.”
Ringrazio Germano Dottori per la piacevole conversazione e per il prezioso contributo.
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