‘Spaccanapoli Times’, la felicità è ascoltare le voci dell’infelicitá
Napoli, 14 ott. – Un’arteria viaria, cuore della babele storica partenopea, ‘Spaccanapoli’, diventa locus amoenus per i quattro fratelli della famiglia Acquaviva, impegnati in una reunion necessaria per ottenere la riconferma della pensione di invalidità civile, a seguito di una visita medica annunciata per constatare i disturbi della sfera psichica dei quattro protagonisti del testo scritto, diretto e interpretato da Ruggiero Cappuccio.
Al Teatro Sannazaro di Napoli il debutto della stagione artistica 2019/2020 avviene in grande stile, con un testo dinamico, esperimento su anima, estro, mente e cuore dello spettatore. ‘Spaccanapoli times’, vede in scena attori in grado di mostrare il risveglio artistico partenopeo. Gea Martire, Giovanni Esposito, Marina Sorrenti, Ciro Damiano e Giulio Cancelli sono i caratteristi di una piéce che con la sua genialità spinge l’intelletto emotivo del pubblico ad elevarsi con i suoi universi temporali e psicosomatici, ragionando sulla differenza sottile tra felicità ed infelicità emotiva.
L’alienazione mentale, apparente o reale è il pretesto con cui Ruggiero Cappuccio inizia a ragionare attraverso il suo personaggio, su criteri di giudizio e follia. Giuseppe, primogenito della famiglia Acquaviva si presenta in scena come moderno Tiresia. Nel cuore serba il sogno di diventare scrittore, dettando le sue opere in totale anonimato, mentre si spinge spregiudicatamente a mostrare ai propri fratelli quello che gli occhi umani si ostinano a non vedere.
Li esorta a bagnarsi nella fonte della conoscenza, per dissetarsi l’anima, andando a fondo nella propria storia per leggere la modernità con sguardo consapevole. Le innumerevoli bottiglie d’acqua che fanno da controscena alla vicenda teatrale, rappresentano il fluire dei pensieri, lo stato inconscio dell’individuo, la pioggia dei tormenti interiori; sono lo specchio in cui si riflette la reminiscenza infantile dei fratelli Acquaviva, gioiosa e serena, dove Gabriella, Gennara, Romualdo e lo stesso Giuseppe, si avvicinano per dissetarsi.
Così anche il tempo indefinito, provvisorio, personale dei loro orologi pronti a sincronizzarsi al cenno di Giuseppe diventa la lente di ingrandimento utile a fargli avvolgere il nastro della memoria sulla vecchia casa della famiglia Acquaviva.
La filosofia del divenire di Cappuccio annuncia più volte una guerra silenziosa fatta di automatismi, dipendenza da smartphone, pc, informazione e comunicazione social. Questa è la vera schiavitù cui bisogna sottrarsi, è il vero dittatore silente che come uno spettro aleggia sulle vite di tutti obbligandoci ad apparire diversi da come si è. Già, diversi! E’ questa la parola chiave di un testo pregno di riferimenti dotti, atti a dimostrare partendo dal terzo atto della Tosca, riproposto con impeto tagliente, che la voglia di Gabriella e Gennara di soffrir per amore, il desiderio di Romualdo di uscire dalla sua incomunicabilità artistica di pittore, forse rappresentano la vera chiave della loro felicità tenebro lucente.
L’infelicità è necessaria per avvicinarsi al barlume di felicità con nostalgia dorata. In fin dei conti tutte le storie umane sono storie di bugie: crediamo di essere qualcosa o qualcuno che in realtà non siamo.
Se si accetta di guardare in faccia all’infelicità, le cose andranno meglio.
La grande esperienza degli attori del cast sublima con movimenti contorsionisti di corpo, flessione vocale e mimica espressiva, tutte le paturnie dell’io. Nel silenzio religioso del pubblico che li osserva, c’è ammirazione per Ruggiero Cappuccio, Gea Martire, Giovanni Esposito, Marina Sorrenti, Ciro Damiano e Giulio Cancelli, tanto da indurre anche la collega Annamaria Ackermann (8 anni in scena con Eduardo De Filippo), ad asserire: “Non sarei riuscita ad interpretare un testo bello, filosofico e geniale come questo, pareggiando la destrezza dei colleghi in scena. In questo caso il teatro di tradizione si inchina alla modernità di Ruggiero Cappuccio e agli artisti che gli hanno dato giusta linfa espressiva”.
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