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Terrorismo, Di Giacomo (S.PP.) – Terroristi islamici in carcere e proteste anarchici sono due “campanelli d’allarme” da non sottovalutare

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“I terroristi tunisino e kosovaro, “radicalizzati” in carcere e ritenuti pericolosi per la sicurezza nazionale, dopo la recente espulsione dal carcere di Corigliano Rossano del detenuto terrorista islamico che aderiva al gruppo che organizzò l’attentato a “Charlie Hebdo” a Parigi; la rivolta nel carcere di Sanremo durante il presidio degli “antagonisti” davanti l’istituto dove è detenuto il leader latitante anarchico arrestato, sono due “campanelli d’allarme” da non sottovalutare”. A sostenerlo è Aldo Di Giacomo, segretario generale del Spp (Sindacato Polizia Penitenziaria) sottolineando che “i fenomeni di indottrinamento in carcere da parte di terroristi-fondamentalisti islamici e le azioni di protesta degli anarchici, già manifestate con il “caso Cospito”, devono prima di tutto sollecitare ad alzare il livello di guardia nelle carceri italiane. Intanto proprio come accade per camorristi, ‘ndranghetisti e mafiosi, anche i terroristi islamici durante la detenzione puntano a fare proseliti.

Oggi negli istituti penitenziari italiani ci sono tra i 10 e i 15 mila detenuti islamici, mentre il numero degli ospiti provenienti dai Paesi di fede islamica nei CPR è di gran lunga superiore e va costantemente aggiornato. La cosiddetta classificazione del livello di radicalizzazione dei detenuti islamici, così come è avvenuto sinora da parte dell’Amministrazione Penitenziaria, si presta a varie interpretazioni e comunque non serve certamente a tranquillizzare il personale penitenziario come il personale dei CPR che è impreparato alla gestione di questo problema. La realtà è diversa: sono sempre più numerosi gli episodi di detenuti di fede islamica che in carcere manifestano comportamenti tipici della radicalizzazione islamica, come inneggiare agli attentati di matrice islamica e mostrare apertamente odio verso l’Occidente. Secondo i dati più aggiornati i detenuti sui quali si concentrano timori di radicalizzazione sarebbero circa 500 suddivisi in tre categorie:” segnalati”,” attenzionati” e” monitorati”. Una cinquantina le persone sono incarcerate con l’accusa di terrorismo internazionale nelle sezioni di alta sicurezza loro riservate (Rossano, Sassari e Nuoro). Gli ultimi dati forniti dal Ministero alla Giustizia – sottolinea Di Giacomo – sono sicuramente superati da una situazione in forte evoluzione per il continuo e costante ingresso di cittadini extracomunitari di fede islamica (e non) nei nostri istituti penitenziari. Ma se è assolutamente chiaro chi sono i terroristi, in quanto sono in carcere perché imputati o arrestati per una specifica fattispecie di reato, non è così chiara la costruzione delle altre tre categorie entro cui sono collocati i detenuti ritenuti ‘radicalizzati’. Per questo è indispensabile sviluppare in carcere programmi mirati alla formazione di personale che sappia individuare i processi di radicalizzazione” dietro le sbarre” per aiutarli a distinguere la pratica religiosa, o il riferimento a una particolare concezione dell’islam, dai possibili indicatori di radicalizzazione.

Altra nostra richiesta è quella di rafforzare il personale di polizia penitenziaria specie negli istituti dove il numero di detenuti extracomunitari ed islamici è più alto e dove si continuano a verificare episodi di aggressione al personale penitenziaria anche da parte di detenuti di nazionalità straniera ed islamici radicalizzati”. Quanto alle proteste dei cosiddetti antagonisti i segnali di ribellione contro il 41 bis nelle carceri non si sono mai spenti e rappresentano un pericolo.


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