Trianon Viviani, Geppy Gleijeses racconta il mito Caruso nel centenario della sua scomparsa
Napoli, 3 ago. – Cento anni dalla morte del tenore Enrico Caruso, apprezzatissimo nei due mondi per la singolare voce, tale da far tremare i lampadari.
A ricordarlo sul palco del Teatro Trianon Viviani di Napoli, in ‘Caruso vive’, è l’attore Geppy Gleijeses, appassionato del ‘mito Caruso’ non solo perché napoletano, ma in virtù di un’ educazione lirica ricevuta in famiglia fin da bambino.
Nella serata evento del 2 agosto, Gleijeses scende nel mito Caruso con queste parole: “Sono entrato in un laboratorio musicale ed ho ascoltato 12 incisioni (500 brani) del nostro Caruso. Ho condotto un lavoro certosino, amorevole, lungo, restaurando le incisioni che si ascoltano in questo spettacolo. Con l’aiuto di Luciano Giannini che ha scritto un racconto liberamente ispirato a due biografie sul tenore, raccontiamo amori ed attitudini tecniche del ‘Tenorissimo’”.
Il rapporto di Gleijeses con Caruso si annida nella sua prima infanzia: “A cinque anni, ogni Domenica ero a pranzo dai nonni – rievoca l’artista – Correva l’anno 1960 a quei tempi e ricordo nettamente come dopo pranzo, in famiglia si togliessero piatti e bicchieri dalla tavola per evitare che vi fossero rumori. Ci precipitavamo tutti in una sala d’ascolto di casa, per sentire un 78 giri di Caruso. Lo ascoltai per la prima volta per 4-5 ore di seguito. Lì è avvenuto il mio primo incontro con Caruso”.
Questo amore al primo ascolto continua nel tempo. Geppy è un cliente affezionato del vecchio ristorante Ciro a Santa Brigida, dove impara a conoscere e familiarizzare con un cameriere del posto, soprannominato ‘Sindaco’. Quest’ultimo nutriva una passione sfrenata per Caruso, tanto da recarsi un paio di volte a settimana presso la tomba del tenore (gesto protratto per tutta la vita), occupandosi della sua manutenzione. Ogni volta ‘Sindaco’ portava con sè sul sepolcro del Tenorissmo, un grammofono e lasciava partire i suoi brani lirici per il piacere dei passanti che così potevano rivivere la grandiosità vocale di un figlio di Napoli emigrato negli Stati Uniti.
Incuriosito da tal comportamento, Gleijeses chiese al cameriere il perchè di questo attaccamento al mito Caruso, cui giunse pronta la risposta di ‘Sindaco’: “Pecchè Caruso è ‘o nuost!”.
Sul palco del Trianon Viviani si dà allora spazio alla musica, reinterpretata dal tenore Gianluca Terranova. Gli intermezzi musicali si avvicendano ai racconti segreti di Gleijeses, mentre corrono le immagini di Caruso, melomane convinto e tombeur de femmes dal cuore zingaro.
Ne deriva un ritratto umano intenso, oltre che un racconto professionale del tenore di umili origini che toccò la somma fama a New York. L’Enrico dalla voce brunita, innamorato delle belle donne, generoso e goliardico con i colleghi sul palcoscenico, rivive davvero tra malinconia e grandiosità.
La star dei due mondi, dall’aspetto prestante e dalla magnetica presenza scenica, trasforma una dote naturale (quella canora), in studio fervente che gli conferì una tecnica inconfondibile che ha fatto scuola.
Il debutto nei teatri di Napoli e Caserta avvenuto nel 1895, segnò l’inizio di un lavoro da artista che non conobbe sosta. Emigrante di lusso, Caruso toccò somme gioie, ma dovette anche sottoporsi a ripetuti interventi chirurgici che cambiarono la sua voce, migliorandola secondo alcuni critici.
Gioiello di Napoli, Enrico ha ispirato una serie lunghissima di colleghi. Lo scugnizzo che conquistò il mondo fino a diventarne divo indiscusso, rese popolare la canzone napoletana oltreoceano; aveva imparato ad esprimersi in francese e in inglese, anche se non scriveva bene in queste lingue. L’idioma napoletano era il suo imprinting. Il tenore si circondò sempre, anche all’estero, di collaboratori ed amici unicamente napoletani.
La vocalità dotata di nota sanguigna intrisa di dolore, arroventava i partenopei; li inorgogliva ieri come oggi, lasciando entrare Enrico nella walk of fame della nostra memoria.
Caruso moriva a Napoli il 2 luglio 1921. Un secolo dopo il suo genio rivive a teatro, tra la gente di Napoli, grazie ad un’operazione celebrativa di cui c’era bisogno per non dimenticare la più grande voce partenopea, che ha eco anche ai giorni nostri.
Foto di Arturo Favella
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