2 Marzo 2025
Attualità

Tumori, Bianca Balti e i geni Jolie: per l’oncologa “racconto onesto che aiuterà tante”

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(Adnkronos) – Un'eredità scomoda, senza dubbio, che oggi può e deve diventare "una chance di prevenzione", e non va vista come una condanna senza appello. Sono i 'geni Jolie', o meglio le mutazioni dei geni Brca1 e Brca2, che espongono a un rischio aumentato di alcuni tumori, rese famose dalla storia personale e dal racconto pubblico della star hollywoodiana Angelina Jolie. Su questo fronte "ha fatto di più una copertina dedicata nel 2013 all'attrice Usa che 30 anni di ricerche dei clinici e dei genetisti", riflette Domenica Lorusso, professore ordinario all'Humanitas University di Rozzano e direttore dell'Unità operativa di Ginecologia oncologica medica di Humanitas San Pio X. "Perché testimonianze" come in Italia quella della modella Bianca Balti "hanno la capacità di arrivare al pubblico", spiega l'esperta all'Adnkronos Salute mentre proprio in questi giorni è ripartita da Milano una campagna di informazione sui tumori eredo-familiari. 'Conoscerli è il primo passo', il claim dell'iniziativa realizzata da AstraZeneca e Msd e patrocinata da diverse realtà impegnate a promuovere la conoscenza e la corretta informazione sulle più importanti patologie oncologiche.  La condivisione d'impatto delle esperienze, storie come quella di Bianca Balti, "sono importantissime", osserva l'oncologa del centro che segue la modella. Balti "sta molto onestamente raccontando la sua storia, spiega che è stata una scelta quella di non togliere le tube e le ovaie. Lo ha scelto perché, pur sapendo di essere predisposta alla malattia, avrebbe voluto un'altra gravidanza. Oggi combatte con una malattia che è una malattia importante, con tutte le conseguenze che questo sta comportando. E lei molto trasparentemente ha denunciato la sua scelta e probabilmente oggi farebbe una scelta diversa. Anche la testimonianza che ha dato a Sanremo, dove si è presentata come professionista e non come malata di cancro, è una testimonianza forte, perché la vita è un'altra cosa. La vita non è la malattia, la vita va avanti malgrado la malattia".  Quello che oggi le persone devono sapere – e la consapevolezza su questo "sta aumentando" – è che "il tumore è per definizione una malattia multifattoriale e sulla totalità dei tumori circa un 15% è legato a mutazioni. In particolare, in ambito ginecologico, sappiamo che circa il 20% dei tumori ovarici sierosi di alto grado, che sono peraltro i più comuni tumori ovarici, possono essere legati alle mutazioni dei geni Brca1 e Brca2. E in aggiunta, oggi sappiamo che questi sono i geni più famosi, ma non gli unici coinvolti nell'ereditarietà. Anzi la lista si allunga sempre più, al punto che oggi pensiamo che uno su due tumori ovarici sierosi di alto grado possa avere in qualche modo una componente di ereditarietà". Un altro aspetto che Lorusso tiene a chiarire è che "la mutazione non trasmette il tumore, ma una maggiore predisposizione, un rischio aumentato di ammalarsi di alcuni tumori, incluso tumori dell'ovaio, del seno, del pancreas, alcuni melanomi, il tumore della prostata nell'uomo. Cosa posso fare se so di avere una mutazione? Mettere in atto strategie di prevenzione primaria o secondaria per intercettare la malattia". "La prevenzione primaria – illustra Lorusso – è ciò che posso fare per fare in modo che la malattia non arrivi, togliere l'organo prima che si ammali. E da qui la mastectomia profilattica o l'annesiectomia (asportazione di tube e ovaie) profilattica. Poi c'è una prevenzione secondaria che consiste nel fare degli esami periodicamente per potersi accorgere prima dell'insorgenza della malattia, quando è iniziale. La prevenzione secondaria l'abbiamo per il tumore della mammella, con mammografia ed eco mammaria, e anche con la risonanza magnetica se so di avere una mutazione. Ma non ce l'abbiamo per il tumore dell'ovaio: anche se tutte le linee guida riportano che le donne devono fare un'ecografia e il CA 125, che è il marcatore del tumore ovarico, ogni 6 mesi, con assoluta trasparenza va detto che anche con questa sorveglianza noi non riusciamo a trovare il tumore in uno stadio iniziale e ad aumentare la sopravvivenza, perché il tumore ovarico è un tumore molto veloce e anche facendo l'ecografia ogni 6 mesi, lo troviamo nell'80% dei casi in una forma avanzata", al "terzo-quarto stadio, quando ha già colonizzato il peritoneo".  In altre parole, "la storia di Bianca Balti è la storia dell'80% delle donne che hanno la sua stessa situazione di partenza". E' una sfida complessa. Per anni il tumore ovarico, evidenzia l'esperta, "è stato chiamato 'killer silenzioso'. In realtà ha dei sintomi aspecifici – mal di pancia, gonfiore addominale, difficoltà digestive, raramente perdite ematiche – che vengono più facilmente confusi con sintomi di gastriti, coliti, diverticoliti". La prima 'arma' contro questa neoplasia è dunque "la prevenzione primaria: se so di avere questa mutazione, devo togliere le tube e le ovaie entro i 40 anni se la mia mutazione è su Brca1 ed entro i 42 se la mia mutazione è di Brca2".  Come si fa a scoprire se si è portatori? "Un tempo noi offrivamo il test genetico solo alle donne in età giovane, in cui il tumore insorgeva prima dei 40 anni, oppure alle donne che avevano una familiarità di primo grado. In realtà abbiamo scoperto che circa un 30% dei tumori legati alla mutazione insorge in donne senza storia di familiarità e in età avanzata. Per cui abbiamo cambiato il paradigma e oggi nel tumore ovarico il test del Brca lo facciamo a tutte. Se lo troviamo nel tumore, lo cerchiamo nel sangue. E se è nel sangue vuol dire che è ereditario e a quel punto studiamo tutte le famiglie". —[email protected] (Web Info)


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